Specchi veneziani

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Versione del 09:40, 29 nov 2019, autore: Gabriele (discussione | contributi)
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Storia dello Specchio

Le tracce più antiche della produzione di piccoli specchi in vetro risalgono all’Egitto del I secolo A.C.: il tradizionale e facile uso del bronzo rendeva troppo complicata l’unione del vetro con una foglia metallica.

Gli antichi specchi egizi giunti fino ai nostri giorni consistono in dischi metallici, generalmente in bronzo. Ce n’erano anche in rame, in argento e persino in lega metallica. Di forma piatta, venivano lucidati e puliti con cura. Ad essi era unito un manico che poteva avere forma di colonnina, di figura femminile o di una divinità.
Gli specchi metallici erano molto costosi ed è probabile che fossero esclusivamente destinati alle classi sociali alte. Le persone meno abbienti dovevano accontentarsi di vedere il proprio volto riflesso nell’acqua.
È noto che gli egizi non conobbero lo specchio di stagno almeno fino all’epoca cristiana. Gli specchi avevano anche una funzione religiosa e funeraria: erano elementi di culto, usati come offerte alle dee Mut e Hathor.
Grazie alla loro forma e lucentezza, gli specchi erano in rapporto con il dio solare, tanto da essere considerati simboli della rigenerazione e della vita. Era piuttosto comune che i manici degli specchi fossero lavorati in forma di divinità, piante di papiro o figure femminili.
Alla loro realizzazione gli artisti dedicavano cure particolari già durante il Nuovo Regno, tanto che i manici di questo periodo mostrano grande raffinatezza. Abituali diverranno i manici a forma di ragazza nuda. Soltanto i ricchi potevano permettersi il lusso di avere specchi,peraltro oggetti notevolmente apprezzati.
Gli specchi appaiono raffigurati di frequente nei dipinti murali delle tombe degli alti dignitari. Un testo risalente alla fine dell’Antico Regno, che descrive la presa di potere da parte della nobiltà, parla così del lusso dei nuovi ricchi: “La donna che guardava il suo volto nell’acqua ora ha uno specchio di bronzo”. Anche i Romani tentarono piccole produzioni che non ebbero grande diffusione, pur in presenza di una notevole capacità tecnica nella lavorazione dei vetri.
Nel XII secolo in alcune zone della Germania e della Lorena si sviluppò un buon artigianato specchiero che metallizzava il vetro con il piombo o stagno senza però arrivare a produrre specchi di grande dimensione.

Gli Specchi Veneziani

La nascita

I veneziani, da sempre abili vetrai, nel 1318 tentarono di introdurre la lavorazione degli specchi in vetro a Venezia, con scarso successo: un tedesco, la cui identità rimase anonima, assoldato per insegnare la tecnica a due veneziani ed un muranese (Murzio Da Murano, Nicolò Cauco e un tal Francesco), scomparve nel nulla. Nel 1369 viene datata la prima produzione di specchi a Murano, il cui procedimento troppo complicato e oneroso, relegò lo specchio ad oggetto di lusso.

Verso la metà del XV secolo, Angelo Barovier inventò a Murano il cristallo, un vetro così limpido, trasparente ed incolore da assomigliare al cristallo di rocca: sarà uno dei segreti degli specchi veneziani. Cento anni dopo (1540) Vincenzo Redor (o Rador), veneziano, mise a punto e brevettò un procedimento di spianatura e lucidatura delle lastre di vetro che consentì di ottenere specchi con superfici perfettamente piane e regolari. E’ lui l’inventore degli specchi veneziani.
La produzione di gran qualità si diffuse rapidamente e nel 1569 gli specchieri veneziani si riunirono in corporazioni, sviluppando nuove tecniche: alla fine del XVI secolo inizia l’incisione, con punta di diamante, dei vetri e degli specchi prodotti a Murano.
Il secolo successivo vide la produzione a Venezia di specchi decorativi, con funzione di arredo: le cornici, prima realizzate in legno, vengono coperte con liste di specchio molate, con cannucce, foglie e fiori di vetro (ideazione che si attribuisce al maestro muranese Giuseppe Briati). Le lastre vengono anche decorate con colori ad olio, mentre le parti lignee sono laccate o dorate secondo il gusto del tempo.


Il declino

Grazie alla tecnica sopraffina e alla creatività degli artigiani lagunari Venezia conobbe un momento florido della sua storia e venne da subito imitata e copiata.

Nonostante i divieti di divulgare, al di fuori del territorio della Serenissima, i segreti della produzione degli specchi (già nel 1271 le autorità veneziane redissero lo statuto della Confraternita dei vetrai, nel quale si proibì l’importazione di vetri dall’estero, negando ai vetrai stranieri la possibilità di lavorare a Venezia), molti artigiani veneziani emigrarono in diverse zone d’Europa, avviando produzioni locali in Spagna, in Inghilterra, in Germania, in Belgio, in Olanda, in Danimarca e, soprattutto, in Francia.
Luigi XIV, infatti, deciso ad interrompere il predomino artigianale veneziano, intraprese una sorta di politica estera per reclutare presso la propria corte gli abili maestri lagunari, affinché insegnassero i segreti della loro arte.
Nel 1665 alcuni operai muranesi vengono segretamente chiamati in Francia, dal ministro Jean-Baptiste Colbert, per avviare una produzione locale di specchi veneziani presso la corte del Re Sole; tra essi c’è un tal Gerolamo Barbin, nato a Murano nel 1634, il quale contribuì alla realizzazione della nota Galleria degli Specchi di Versailles.
Nel 1605 le autorità della Serenissima, per evitare l’emigrazione dei maestri vetrai e preservare i segreti delle loro tecniche di lavorazione, redassero il cosiddetto Libro d’Oro contenente i nomi degli appartenenti alla Magnifica comunità di Murano, da allora noti come la nobiltà vetraria dell’isola. La famiglia Barbini verrà inscritta nel 1658.


La rinascita

Il tramonto delle glorie settecentesche della Serenissima fece diminuire la produzione degli specchi, ma la tradizione artigianale della laguna sopravvisse. Nella seconda metà del XIX secolo la Società Salviati rilanciò la produzione di vetri artistici, restituendo orgoglio agli artigiani muranesi. Nel ‘900, invece, sarà Nicolò Barbini, con pochi altri, a salvare la produzione di specchi veneziani, quasi dimenticata all’inizio del secolo, reinterpretando un inestimabile patrimonio di tecniche e segreti, riproponendolo al mondo intero.

il testo è stato tratto dal sito www.aavbarbini.it