Marcantonio Bragadin/Il tradimento

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La luna proiettava una striscia di sangue sul corpo oscuro dell'acqua. Dopo l'accettazione da parte lel pascià delle condizioni dei veneziani, concretizzatasi poi con l'invio di quell'ambasciatore disteso sulla portantina, il primo di agosto 1571 la città di Famagosta aveva spalancato le porte ai turchi. Ed ora, calata l'oscurità anche sulla giornata del quattro agosto, secondo la volontà già preannunciata da Mustafà, un drappello rappresentativo dei difensori della roccaforte della Serenissima sull'isola di Cipro si stava avviando verso l'accampamento nemico, per intrattenersi come ospiti nella tenda del comandante della spedizione ottomana, e mettere quindi a punto gli ultimi accordi relativi alla capitolazione.

Filtrata dagli strati bassi dell'atmosfera saturi di umidità, la luce solitamente lattiginosa dell'astro notturno aveva intanto virato sul rosso intenso, e il profilo del satellite appariva indefinito e sfrangiato. Immobile a pochi passi dalle prime sentinelle dell'attendamento mussulmano, Marcantonio Bragadin levò lo sguardo in alto e la osservò a lungo, mentre la rappresentanza cristiana che l'accompagnava attendeva con rispetto che riprendesse la marcia. Cosa che il comandante fece immediatamente dopo aver soffocato nel cuore l'ultimo dei funesti presentimenti che, senza peraltro alcuna ragione apparente per come si erano svolti i fatti nei tre giorni appena trascorsi, avevano preso a tormentarlo e a non concedergli nemmeno il necessario beneficio di un autentico sonno ristoratore.

L'ambasceria veneziana dunque si avviò nuovamente. Era formata dal comandante civile, da quello militare e dal capitano Tiepolo, oltre che da ufficiali e soldati dotati di armamento di pura parata, e da poche figure di civili, tra i quali i paggi, e tra essi il sottile ed efebico Antonio Querini, dal viso di cherubino e dalle membra di giada.

Con andatura solenne e tranquilla, come si conveniva a chi aveva dovuto cedere in guerra pur non avendo mai perso in battaglia, il gruppo perciò si inoltrò attraverso la sterminata distesa di tende a cuspide. Evitò i contatti diretti con i soldati accosciati intorno ai fuochi, aggirò le numerose macchine da guerra sparse un po' ovunque, e distolse opportunamente lo sguardo ad ogni incontro che capitava loro di fare con le numerose donne velate, e spesso dal corpo eccitante, che incrociavano indolenti e sinuose lungo il percorso.

Impiegarono poi parecchio tempo prima che la giusta direzione, tracciata dal disporsi senza intervalli di una lunga teoria di armati dallo sguardo vigile, li conducesse via via all'alloggio ,sontuoso nel quale erano attesi.

L'acquartieramento di Mustafà Lala Pascia era costituito da un'immensa tenda color verde brillante, pavesata da innumerevoli stendardi delle etnie e delle tribù dei deserti che avevano preso parte all'impresa cipriota, riconoscendone solo temporaneamente il comando a quell'uomo, prima che ogni singolo capo si riappropriasse della propria autonomia decisionale non appena fosse rientrato in patria.

Attraverso i teli di stoffa preziosa filtrava una musica dalle tonalità malinconiche, e un canto carico di nostalgia per la terra lontana, il cui senso struggentemente poetico riuscì ad essere percepito, seppure soltanto a tratti, anche dai veneziani. Annunciati dalla voce stridula di un individuo corpulento e massiccio, le cui carni bianchicce e cadenti indicavano potesse anche essere uno degli eunuchi a guardia dell'harem mobile del suo magnifico signore, gli ufficiali di quella che era stata l'armata cristiana a difesa di Cipro penetrarono dunque sotto l'enorme padiglione. E, nel silenzio più pieno che all'improvviso era calato, assecondando il benigno e misurato gesto d'invito dell'anfitrione, si accosciarono sui cuscini di seta cruda, attorno ad un grande tappeto di valore incommensurabile, sul quale era distesa una profusione di cibo tanto ostentata che gli ospiti non dubitarono affatto potesse essere stata predisposta al preciso scopo di umiliare coloro che, fino a pochi giorni prima, avevano patito orribilmente la fame.

La dignità è faccenda del cuore e dell'anima, ma purtroppo non di quell'organo ribelle che capricciosamente si allarga e si restringe proprio dietro l'ombelico di ogni essere umano, e che spesso condiziona ogni suo più tenue pensiero, specie quando non è soddisfatto a dovere. I paggi in particolar modo quindi, ma anche i soldati di scorta, non riuscirono perciò a far altro che fissare con sguardo bramoso quell'inconsueta opulenza, mentre con tutta evidenza la protuberanza di cartilagine che segna la gola nervosa di ogni maschio scendeva e saliva in continuazione lungo il collo, in attesa della soddisfazione del desiderio di cibo.

Sulla trama fittamente intrecciata del manufatto di provenienza persiana, disposta con grazia in grandi recipienti di rame o di bronzo, si accatastava la meraviglia dell'"ic pilav", il riso guarnito di fegato di agnello e di uva passa, e dell'"imam bayildi", le melanzane sott'olio imbottite di prezzemolo tritato e pomodoro maturo. Più in là, faceva bella mostra di sé una piramide torreggiante di "kadin budu kofte", le polpette di montone conosciute con il nome di "cosce di donna", in paragone con la levigatezza e la morbidezza delle gambe femminili. Oltre un irmik hervasi, un semolino picchiettato di pinoli e di mandorle, usato per aggiustare lo stomaco nelle pause tra due pietanze robuste, spiccavano vassoi oblunghi di "doner kebab", la carne arrostita, di "dugun corbasi", i cosciotti bolliti, e di "etli biber dolmasi", il macinato con cipolla, menta, finocchio e prezzemolo, la cui ricetta era già conosciuta fin dall'epoca dei colonizzatori romani.

Non scarseggiava poi il "manti", a base di yogurt e aglio tritato, e neppure gli spinaci con l'uva passa e le carote piccanti. Né tanto meno mancava una profusione di frutta di ogni stagione, conservata con preziose alchimie in cuscinetti di paglia, e vaschette d'argento delicate come bombonere, nelle quali erano riposti i dolci più famosi come il "baklava". In ultimo, ben disposti in caraffe di vetro intagliato, che rimandavano centuplicati i riflessi delle decine di candelieri sparsi per la grande sala coperta dalla volta di stoffa dipinta, non si poteva non ammirare la grande abbondanza di bevande, di distillati non alcolici di radici e bacche sconosciute, di "raki" dall'aspetto lattiginoso, e di bocce di colore verdastro colme d'acqua talmente gelata da imperlare di goccioline brillanti la superficie ricurva dei recipienti.

In verità, non c'è ora del giorno migliore di questa per celebrare la solennità del nostro incontro... ruppe a quel punto il silenzio pesante la voce fonda e ben modulata di Mustafà Lala - Quasi che il disco del sole, che si è appena accucciato oltre l'orizzonte, possa essere preso a simbolo della vostra cocente sconfitta, ma anche dell'inevitabile destino che incombe sulle sorti dell'arrogante Leone dorato che stringe tra le zampe quel Libro che è sacro ai cristiani....

L'uomo che aveva parlato, colui che il sultano Selim II aveva inviato alla conquista di Nicosia e di Famagosta, presentava un profilo sbozzato nel marmo, un naso aquilino che fendeva l'aria con indomita arroganza, e una bocca volitiva che avrebbe saputo mordere con pari efficacia, e spesso con il medesimo intento, il seno nudo e vibrante di una concubina o il cuore ancora pulsante di un nemico dal petto squarciato. Nei suoi occhi, neri come il migliore ebano e abissali come un pozzo sul cui fondo s'intravedeva a malapena il riflesso dell'acqua cristallina, appena celati da una patina d'ombra navigavano veloci i pensieri, che solo ogni tanto, sospinti in superficie da un'energia inesauribile, si mostravano netti e brillanti come schegge di mica incastonate in una roccia basaltica, e acuti come punte di stiletto imbevute di veleno di crotalo.

Per quanto si potesse giudicare dalla posizione che aveva assunto a gambe incrociate, era una persona di notevole altezza, oltre che di una magrezza tanto evidente da parere quasi frutto di un'ascesi severa, di una macerazione continua attuata per dominare sé stesso al solo fine di soffocare ogni scrupolo nella difficile arte del dominio sugli altri. Da come si esprimeva, nella lingua degli ospiti stranieri dalla dizione perfetta e ricca di sfumature colte, e con una gestualità controllata sotto la quale vibrava un' energia dirompente pronta ad eruttare in ogni momento, non sarebbe stato difficoltoso presumere in lui l'uomo che aveva trascorso innumerevoli notti insonni a studiare i classici tramandati sia dai raffinati poeti arabi che greci o latini. Ovvero lo studioso intelligente che del mondo, dall'esperienza diretta o dai libri, aveva appreso a dovere ogni più riposto segreto, ogni possibile vanità, ogni più sordida debolezza da potere sfruttare, ogni prometeica elevazione da assecondare per potersi arrampicare più in alto possibile, e quindi osservare da là, con una serenità da mistico che ha ricompreso l'intero universo in sé stesso, l'avvoltolarsi senza ragione dei propri simili, i loro nudi fianchi indifesi, la loro mente oppressa da speranze sfruttabili per i propri scopi, o da vigliaccherie che li avrebbero obbligati a fungere da piedistallo per la gloria di chi invece si era macerato a lungo per trasformarsi in una creatura eccezionale.

Mustafà Lala Pascià era dunque un uomo di indubbio valore. Uno degli appartenenti alla schiera sparuta di coloro che, nell'immenso corpo multiforme dell'umanità, sono destinati ad essere considerati dai suoi niente di meno che eroi, e quindi avversari estremamente pericolosi dai propri nemici.

Vostra paternità concederà a chi ha fraternamente invitato di non infrangere le regole della buona creanza, costringendolo a rammentare, davanti al dono divino del cibo e in questo consesso di persone di vaglia, ciò che sta più a cuore a noi veneziani....

Marcantonio Bragadin stava con il busto eretto fasciato da un corpetto di vaporoso velluto, e con i capelli rossicci coperti quasi per intero da un copricapo rotondo dai fregi dorati. Da persona che, aveva vissuto ormai per quasi mezzo secolo, e che quindi aveva imparato a proprie spese a navigare i mari in tempesta dell'anima umana, non diede segno di aver colto la provocazione del turco a proposito della propria umiliazione guerresca e del futuro di decadenza che, a suo dire, sarebbe stato destinato alla secolare grandezza del Leone della Serenissima Repubblica Veneta. Lasciò dunque scivolare nel nulla le parole ostili, che potevano anche rappresentare un' orgogliosa premessa ad una trattativa più nobile e serena, e attese paziente che la sua replica producesse una breccia nell'apparente ostilità del pascià.

L'uomo però non reagì affatto. Si limitò a lasciar aleggiare soltanto un ambiguo sorriso sulle labbra carnose e, con un gesto quasi impercettibile, permise poi che fosse un altro a rispondere al posto suo.

Signor comandante, valente avversario cominciò infatti a cantilenare un vecchio dal volto severo, nel cui sguardo già aleggiava il saggio distacco dalle cose terrene di chi è ormai prossimo alla morte - Signori, le vostre pretese, ratificate pochi giorni orsono, ad una meditazione più approfondita non si presentano più come degne di essere considerate equilibrate a sufficienza.... Significa che le volete violare...?! a quel punto, prima che Bragadin glielo potesse impedire, intervenne con foga il giovane Lorenzo Tiepolo, arrossendo d'ira e puntando contro quell'altro, in modo del tutto sconveniente, l'indice della mano guantata.

L'uomo cadente e bianco di pelo tossicchiò innaturalmente per qualche istante. Quindi, dopo essersi consultato con rapide occhiate oblique con gli altri cortigiani presenti in gran numero, rivolse il suo volto rugoso in direzione del giovane, invidiandogli la libertà di parola e l'ardire del carattere, ma non le sofferenze che avrebbe ancora dovuto affrontare prima di comprendere almeno una minima parte dei misteri del cuore umano.

Fu allora che, sotto la tenda, intanto che Tiepolo veniva prudentemente allontanato con il pretesto di sovrintendere e accelerare l'imbarco dei suoi in assenza di Bragadin, si articolò una litania di voci concordi e monotone come un mantra orientale, che ripetevano ciò che, seppure solennemente promesso, sembrava che adesso non dovesse più essere concesso. Avete preteso la vita e la libertà per i cittadini di Famagosta... ricordò infatti un dignitario dai grandi baffi spioventi e dal viso ipocritamente pacioso.

Ma anche la possibilità di scelta per loro se rimanere o andarsene senza subire ritorsioni... gli fece poi eco un individuo sottile e ingioiellato.

Vi siete accertati del rispetto assoluto delle proprietà private e dei principi della vostra fede... confermò quindi un terzo tra i presenti, quello più vicino all'immobile Mustafà.

Vi siete premurati di concordare in che modo, con quali armi e su quante navi, avreste potuto abbandonare pacificamente quest'isola, che credevate potesse essere vostra per sempre... infine concluse sospirando un ultimo intervenuto, fissando i comandanti con un'espressione da uomo offeso nella propria onorabilità. Ad ogni punto dell'accordo stipulato tra il pascià e Bragadin il primo di agosto, i veneziani annuivano convinti, intanto che le loro pupille si dilatavano sempre più per la sorpresa che quei patti potessero essere presto negati, e le loro bocche si dischiudevano pronte a pronunciare una parola di ribellione che però non riusciva ancora ad articolarsi.

Nulla di nulla, sotto la volta del cielo, è perfetto se non è completo...in quell'istante però, dopo aver ammutolito di colpo i suoi uomini, risuonò ancora la parlata soave dai cantilenanti suoni aspirati del signore del luogo, di colui che aveva pensato ciò che gli altri si erano soltanto permessi di dire.

Intendete affermare, signore, che ritenete manchi una clausola nel trattato che, in piena libertà, abbiamo concordato per far cessare la guerra? E' in questo senso che state alludendo alla perfezione e all'incompletezza?.

Stavolta ad intervenire era invece stato Astorre Baglioni, il comandante militare. E l'aveva fatto senza irruenza, anzi con quel tono morbido e suadente che anche i guerrieri imparano ad adoperare quando ci si attende da loro che sfoggino le proprie doti diplomatiche migliori. Mustafà Lala Pascià larve però lo stesso irritato dall'essere stato interrotto, anche se non osava negare che ciò si fosse compiuto con una certa grazia comunque apprezzabile. In ogni modo, lasciato che la richiesta di spiegazioni dell'ufficiale si disperdesse invano nell'aria densa di profumi della sua tenda, socchiuse per un attimo gli occhi e li spalancò subito dopo, permettendo che ne scaturisse una breve luce maligna. Quindi, con tono incantevole da persona di raffinata cultura, tra i presenti, sul cibo che nessuno aveva ancora osato sfiorare, lungo i velari dietro i quali si nascondevano gli strumenti e il canto delle musicanti, fece aleggiare il magico intrecciarsi di parole d'amore, o forse di falsa filosofia, o comunque l'asprigno sentore di una dichiarazione d'inganno che fondava la propria giustificazione su un supposto gioco della mente e dei sensi, che sarebbe stato invece utilizzato ai fini dell'espressione del più puro cinismo politico.

La seduzione della bellezza... - infatti proclamò il pascià, fingendo con studiata abilità di apparire trasognato - Il mistero e l'energia che si cela nelle membra abbaglianti di un altro. E che non può più concedere né pace né sonno, finché almeno non ci inebriamo con il suo totale possesso carnale, riuscendo a sconfiggere per un solo momento il soffocante senso di morte che ci opprime senza mai darci tregua fin da quando nasciamo....

Pronunciò dunque con deliberata freddezza queste parole oscure. Ma il suo sguardo lucente, la piega crudele delle labbra, un fremito perfettamente controllato che aveva concesso che gli percorresse la tenace muscolatura, fecero immediatamente intendere ai veneziani che cosa volesse, ovvero quale fosse l'ostacolo invalicabile che quell'uomo dalla mente superiore stava adesso opponendo alla loro inflessibile morale cristiana, per trovare poi un saldo appiglio per mancare alla propria parola anche su tutti gli altri punti del patto di resa.

Mustafà Lala Pascià dunque sorrise per la seconda volta, sicuro di avere già vinto. Quindi, ostentatamente, fissò di nuovo la leggiadria inarrivabile e delicata del paggio Antonio Quercini, il suo volto di arcangelo, e il suo corpo perfetto di adolescente desiderabile.

Potrei donargli a piene mani un intero universo di meraviglie - poi, con sfrontatezza, osò guardare dritto negli occhi Marcantonio Bragadin - Ammesso che voi voleste essere tanto magnanimo da cedermelo per consolazione dei miei sensi sfibrati, come estremo dono gradito prima che io vi conceda di ritenervi liberi di far vela per Venezia....

La raffinatezza può anche diventare parte del gioco di potere quando ad esercitarla si pone un uomo dalla mente complessa, le cui intime componenti sono uno scetticismo di fondo sulle cose del 'mondo, un gusto particolare per il colpo di teatro stupefacente, una buona dose di naturale spietatezza, nonché la limpidità di visione di un lucido progetto la cui realizzazione è scandita da tempi perfetti. Il comandante dell'armata ottomana aveva dapprima lasciato che gli avvenimenti si incanalassero agevolmente lungo i binari della ragionevolezza. Poi, ottenuta a buon prezzo la resa della città, si era concesso il lusso di attendere qualche giorno, per godere più a fondo della gioia illusoria del nemico mortale. Quindi, a patti già sostanzialmente conclusi, aveva aggiunto quel tipo particolare di variabile imprevedibile, che fa appunto distinguere l'agire dell'uomo comune da quello di colui che ama architettare trappole dalla complicata struttura, completamente appaganti iper la propria lambiccata intelligenza.

Se i veneziani intendevano andarsene illesi da Famagosta, dovevano dunque sacrificare ufficialmente il corpo, il futuro, la stessa felicità di quel bellissimo paggio. Una condizione che tra l'altro si sarebbe risaputa dovunque, e che quindi non avrebbero mai potuto accettare in ogni caso, anche se per primo lo stesso Mustafà Lala sapeva benissimo che non si sarebbe potuta verificare. Per una cosa da nulla come un ragazzo... - perciò in quel momento, dopo gli evidenti segnali di diniego degli ospiti, il pascià concluse la dimostrazione del proprio sofisticato teorema - Voi non intendete accontentarmi neppure per così poco... inscenò poi magistralmente la propria delusa tristezza.

E, come una persona che finge di offendersi dopo aver posto studiatamente le premesse proprio per essere insultato, e che quindi non può alla fine che essere costretto a reagire esattamente a ciò che egli stesso ha progettato che dovesse avvenire, il comandante ottomano si levò improvvisamente in piedi con uno scatto felino, e fece quindi un cenno rabbioso ai suoi cortigiani presenti.

A quel punto uno di essi, proprio quel vecchio dal volto severo che aveva già parlato con i veneziani, lanciò un grido rauco, breve, un segnale probabilmente già concordato nel quale si avvertivano tutte le stridenti sonorità della minaccia mortale. Allora di colpo il silenzio e la quiete dentro la tenda si dissolsero in una cacofonia di urla, di ululati di guerra, di suoni modulati con la lingua che saettava dentro e fuori le labbra, e batteva veloce contro l'interno delle guance. Gli ampi teli tirati alle spalle degli ospiti vennero all'improvviso squarciati da precisi e saettanti colpi di lama di scimitarra, e all'interno apparvero come d'incanto alti e muscolosi guerrieri che avevano atteso pazienti il momento più favorevole per poter agire. I primi ad essere colpiti furono i pochi soldati di truppa. Una o due teste rotolarono subito tra i vassoi del cibo, mentre densi schizzi di sangue imbrattavano i volti di compagni e nemici, e il loro corpo scivolava poi al suolo soltanto qualche istante dopo essere stato decapitato.

E intanto Mustafà Lala Pascià sognava immobile e ad occhi chiusi...

Quindi, dopo la prima reazione di assoluto sbalordimento, i sopravvissuti tra i militi veneziani misero coraggiosamente mano alle poche armi di rappresentanza e parata delle quali si erano imprudentemente dotati. Nella strettoia di quello spazio angusto e ormai surriscaldato, si videro allora incrociarsi duelli impari tra enormi lame e spadini, tra pistole con la canna lunga e stiletti dorati lunghi appena quanto una mano.

E intanto Mustafà Lala Pascià sognava immobile e ad occhi chiusi...

Poi, dopo soltanto pochissimi istanti da quando quella battaglia dall'esito scontato era iniziata, penetrarono sotto la tenda individui massicci avvolti in grandi tuniche svolazzanti, e con il capo ricoperto da turbanti spropositati. I quali quindi, con gesti accorti e studiati, usando di pochissima violenza, radunarono abilmente in un canto i più giovani e delicati tra i componenti il drappello nemico, e si adoperarono a porsi con volto impassibile come barriera tra quella preziosa merce vivente e la furia cieca dei combattimenti.

E intanto Mustafà Lala Pascià sognava immobile e ad occhi chiusi...

Uno degli ufficiali più fedeli a Lorenzo Tiepolo, il sanguigno capitano di Pafo che si era già allontanato, si difese strenuamente fono all'ultimo. Da uno scomparto all'interno dello stivale, 'aveva tratto un pugnale acuminato, e con quello menava grandi fendenti a semicerchio, tentando disperatamente di tenere a distanza chi gli veniva addosso, intanto che con sguardi saettanti di sbieco cercava di intravedere una via di fuga per potere lanciare l'allarme dell'imboscata. Morì poco dopo, quando uno dei turchi più giganteschi, stanco dell'abile danza di quel giovane scattante come un furetto, afferrò impaziente una lancia e lo infilzò da sotto in su, penetrandogli nella gola e spingendo con forza finché la punta imbrattata di materia vischiosa riapparve di nuovo dalla sommità del suo cranio.

E intanto Mustafà Lala Pascià sognava immobile e ad occhi chiusi...

Poi venne il turno del generale Astorre Baglioni, il comandante militare di Famagosta. Gli si affollarono intorno in tre. Il primo, cercando di contrastarlo di fronte. Un altro, tentando di sorprenderlo alle spalle. Il terzo, adoperandosi per farlo inciampare, infilandogli tra le gambe una spada. Finché, dopo un'accanita resistenza, la tattica recò alla fine i suoi effetti. Baglioni vacillò, cercò affannosamente di afferrarsi ad un appiglio qualsiasi, quindi franò di schianto sul vasto tappeto prezioso, abbattendosi a peso morto tra le vivande. Allora gli fu contemporaneamente addosso ognuno di quei tre con i quali stava duellando. Uno gli fracassò un vassoio in pieno volto, aprendogli uno squarcio dal mento alla tempia, e maciullandogli un occhio. Il secondo gli bloccò con un ginocchio il polso della mano armata, rendendolo inoffensivo. Il terzo, grondante di sudore schiumoso e con la faccia deformata dall'odio e dall'impazienza, non attese quindi neppure un istante per trapassare con un pugnale la bocca dell'uomo ormai ridotto all'impotenza, e lo inchiodò infine al duro terreno sotto il tappeto, rimanendo poi lì a contemplare trasognato e ansimante la perfezione della propria opera, finché l'altro spirò rigurgitando uno sbocco di sangue bollo so e nerastro.

E intanto Mustafà Lala Pascià sognava immobile e ad occhi chiusi...

A quel punto, quando già il gruppo dei veneziani era stato quasi completamente sterminato e la tenda del turco era ormai ridotta ad un putrido scannatoio di umori scivolosi, il vecchio dal volto cupo fendette l'aria ammorbata di odore di sangue e liquami con un altro ordine secco.

Anche il secondo segnale fu recepito all'istante. Un paio di ufficiali ottomani si precipitarono all'aperto e, con comandi opportuni, radunarono subito dietro di sé una gran folla di armati, con i quali si avviarono rapidamente e in perfetto silenzio verso la costa.

Là, secondo gli accordi stipulati il primo di agosto, Lorenzo Tiepolo stava seguendo la sistemazione dei suoi soldati sulle galee turche, che li avrebbero ricondotti verso una terra sicura ancora sotto il dominio della Repubblica Serenissima. Non immaginando neppure che cosa stesse accadendo poche centinaia di passi più lontano, colti assolutamente di sorpresa da un'azione improvvisa, inaspettata e silenziosa, i militari non opposero quindi gran resistenza all'attacco nemico. Dopo pochissimi istanti, soverchiati da una massa di combattenti di molto superiore, furono quindi tutti ridotti all'impotenza e, con l'aiuto degli stessi marinai che fino a poco prima li stavano favorendo nella manovra d'imbarco, vennero afferrati, immediatamente denudati, e incatenati ai remi nei banchi della stiva, così che da quel momento fu decretato per loro un destino di inflessibile schiavitù, che si sarebbe concluso soltanto con una morte oscura dopo mesi e mesi di penuria, sete, fatica, umiliazione e sofferenza inaudita.

Al termine della breve battaglia, il capitano Lorenzo Tiepolo di Pafo non chiese pietà, né degnò i traditori di un solo sguardo mentre veniva appeso per il collo al pennone più alto della nave. Il suo penultimo pensiero fu per la madre che ancora viveva a Venezia. L'ultimo, di speranza nella clemenza di Dio.

E intanto Mustafà Lala Pascià aveva finito di sognare ad occhi chiusi e si era degnato di ammirare, con una certa consapevole malinconia che ora traspariva evidente dalle pupille, ciò che adesso lo circondava.

Lui no... quindi si concesse soltanto di ordinare, emettendo dalle labbra carnose e sensuali quasi un rantolo addolorato. Al centro della confusione e dello sterminio, Marcantonio Bragadin era ridotto ad una maschera orda di sangue sgocciolante. La sua alta e muscolosa figura, il suo capo sul quale spiccava la massa dei capelli fulvi, il potente braccio armato di una daga a doppia lama inadatta ad uno scontro prolungato, le sue forti gambe piantate nel terreno per sostenersi contro gli assalti instancabili, trionfavano al di sopra del caos, illuminandolo quasi di un alone tragico, proprio come sarebbe accaduto a quegli eroi greci sui quali stava meditando qualche giorno prima dall'alto delle fortificazioni di Famagosta.

Lui no... mosse appena una mano ingioiellata il condottiero ottomano.

Nello sguardo del veneziano brillava un fuoco alimentato da un amalgama di delusione, dignità offesa, disprezzo profondo, e anche da quel giustificabile terrore umano che coglie anche i migliori all'approssimarsi del buio insondabile della morte. Il suo ampio torace, affaticato dall'immane sforzo per difendersi da troppi avversari, si gonfiava e si contraeva ad un innaturale ritmo convulso. Il sudore che gli colava abbondante dalla fronte sugli occhi, quasi lo stava rendendo cieco. Perché...? allora sibilò con un sospiro rauco in direzione di Mustafà, approfittando dell'attimo di tregua che lo stesso pascià aveva imposto ai suoi armati.

Il turco chinò lievemente il capo di lato, e non rispose. Quindi, come se gli dolesse, con grande fatica tracciò nell'aria un quasi impercettibile segnale convenuto. I dodici guerrieri che ancora erano rimasti in piedi a quel punto scattarono, abbrancando Bragadin di sorpresa da dietro, quando ancora, da uomo d'onore, stava attendendo risposta alla sua domanda che appunto concerneva l'onore.

Fu atterrato non senza fatica da parte dei suoi nemici, e resistette all'immobilizzazione con tutte le energie che ancora gli rimanevano, dibattendosi con spinte furiose, e urlando a perdifiato, finché gli riuscì di utilizzare l'estrema riserva di respiro.

Quindi si abbandonò e tacque, mentre dall'angolo al di là della barriera di giganti in tunica fluttuante provenivano i deboli singulti di disperazione e gli uggioli dei giovani paggi piacenti, che sarebbero stati avviati al dovere di compiacere supinamente le voglie segrete di qualche decadente e vizioso tiranno orientale.

Quando però tutto finalmente tornò alla quiete, e nella tenda devastata si avvertirono soltanto il respiro fondo del veneziano prigioniero e gli ultimi sospiri di dolore dei ragazzi, Mustafà Lala Pascià finalmente si mosse e, con incedere lento e ieratico, si avvicinò cautamente a Bragadin. Tu non dovrai godere della fortuna di essere ucciso in battaglia. Sarebbe un privilegio troppo grande per chi ha perduto... - allora, con voce suadente ma sinceramente dolorosa, gli preannunciò la sua orribile sorte futura - Lo scopo per il quale invece ti concederò ancora di vivere per qualche giorno è perché incarnerai il nobile ruolo del capro espiatorio, dell'animale sacrificale....

Ogni trionfo, proseguì poi il turco, ogni superba vittoria, prevede un ringraziamento simbolico, un rito cruento di purificazione. Proprio come indicavano i precetti della civiltà umana, dovunque e da sempre. Per questo dovrai essere preparato a dovere al difficile compito che ti attende, trascorrendo tutto il tempo che ti rimane in meditazione e decantazione delle tue colpe....

Sembrava che la misura dei gesti, la calma solenne del tono di voce, la stessa vaghezza degli sguardi, dovessero indicare la conclusione di quel breve colloquio. Invece, dimostrando ancora una volta la propria imprevedibilità, Mustafà Lala Pascià trascorse in un solo istante dallo stato di calma a quello parossistico dell'azione. Con un fluido, rapidissimo e preciso saettare del braccio, estrasse, dalla grande fascia di seta che gli circondava i fianchi magri, un pugnale ricurvo dal manico d'oro tempestato di pietre preziose e, con pochi colpi secchi e violenti, recise di netto le orecchie e mozzò il naso del veneziano, gettando poi con alterigia i brani di carne insanguinata in un canto, sul fondo di uno dei tanti vassoi ancora parzialmente ricolmi di cibo.

L'urlo di dolore di Marcantonio Bragadin salì allora su dal ventre, gli esplose in gola, eruttò fuori dalle labbra riarse, e si ripercosse fin dentro i luoghi più riparati della sua mente, devastandogli definitivamente le estreme difese dell'anima esulcerata.

Ti ho allargato le orecchie perché, al momento più adatto, tu possa udire meglio quanto ho da dirti - a quel punto mormorò il pascià, chiudendo di nuovo gli occhi ispirato - Ti ho aperto il naso perché tu possa avvertire già da lontano il lezzo della morte, quando si avvicinerà per rapirti....

Nell'angolo, uno dei ragazzi aveva intanto sfilato una lama dal corsetto, e aveva trovato l'estremo coraggio di piantarsela per tutta la sua lunghezza nel ventre.