Elezione dei primi dogi

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Versione del 18:09, 24 mar 2020, autore: Gabriele (discussione | contributi)
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L’emigrazione delle genti abitanti l’entroterra veneto verso le lagune induce cambiamenti profondi: i rapporti di potere, gli equilibri territoriali e le attività economiche in terra ferma non sono esportabili tal quali sulle isole dove gli spazi a disposizione più ristretti, la morfologia dei luoghi meno ospitali e le diverse comunicazioni, costituiranno fattori destinati a provocare conflitti fra gruppi sociali oggettivamente costretti a ridefinire i loro reciproci rapporti. E questa non sarà questione né breve né indolore, anzi, in molte occasioni significherà percorrere itinerari decisamente violenti e sanguinari.

L’unicità e l’originalità del modello ducale a Venezia e la scelta istituzionale della Repubblica sono in qualche misura da correlarsi a questo momento, a questa soluzione di continuità storica che azzera tutto e obbliga i clan familiari a ridisegnare una nuova geografia ed una nuova gerarchia del potere sulle isole.
Inoltre i veneziani, mentre affrontano le loro contraddizioni interne, devono rapportarsi anche con altri fattori: i Longobardi, fino al 774 presenti e potenti, in seguito i Franchi, infine il rapporto tempestoso con Costantinopoli. Ma procediamo con ordine.
Ai tempi dell’imperatore Anastasio II° e di Liutprando (713 – 716) tutti i venetici riuniti con il patriarca e i vescovi, con generale consiglio, determinarono che da allora in poi fosse più onorevole essere governati da dogi anziché da tribuni. Così il diacono Giovanni ci descrive l’elezione del primo doge Paulicio o Pauluccio. L’anno preciso resta incerto, Dandolo lo situa al 697; la stessa esistenza di Pauluccio Anafesto non è documentabile con certezza.
Al primo, leggendario doge sarebbero succeduti Marcello e quindi Orso, ucciso nel 737 con acre livore dai veneziani che per cinque anni ripristinano la figura del magister militum, in carica per un anno. I primi sono Leone e Felice Cornicola, il terzo Deusdedit, l’ultimo è Giovanni Fabriaco al quale sono strappati gli occhi. Nel 742 viene rieletto un doge nella persona di Deusdedit (Diodato Ipato), figlio di Orso.
Il conflitto fra l’aristocrazia tribunizia italiana e gli ufficiali superiori dell’esarca bizantino non tarda ad esplicitarsi in tutta la sua forza determinando le inquietudini serpeggianti per tutto il primo ventennio dell’ottavo secolo: atti di insubordinazione particolarmente gravi si erano avuti già nel 692-93 dopo il Concilio Quinisesto, contro l’esarco Teofilatto, nel 701 ed anche nel 710-11 con il linciaggio dell’esarco Giovanni Rizokopos che probabilmente coincide con un movimento di rivolta antibizantina anche a Venezia. Infine l’esplosione rivoluzionaria del 726.

Le truppe delle Venezie, ma non quelle dell’Istria, insorgono insieme a quelle della Pentapoli e rifiutano l’autorità esarcale. A queste vicende sembra collegarsi il nome di Orso il quale sarebbe il primo rappresentante di una volontà autonomistica, mentre la sua uccisione, dopo circa un decennio di ducato da Civitanova, e il ritorno dei magistri militum, quali diretti rappresentanti del potere esarcale, rispecchierebbe una svolta centralistica ed una riduzione delle autonomie prima raggiunte. Con Diodato, che nel 742 trasferisce la sede del ducato da Cittanova a Malamocco, il cammino riprende fra duri contrasti ma senza rotture troppo brusche.

Resta ipotetica la contrapposizione fra interessi prettamente agricoli e fondiari, localizzati a Cittanova, e interessi mobiliari e mercantili, incentrati a Malamocco. Forse non è azzardato pensare all’esistenza di due partiti (o meglio di due orientamenti): uno più fedele alla tradizione bizantina, lealista legato alla sede governativa di Cittanova, l’altro metamaucense, più deciso fautore di uno sviluppo autonomistico e nazionale piuttosto che imperiale.
In ogni caso l’eraclese Deusdedit non abbandona la nuova sede di Malamocco affacciata al mare aperto, da qui regge il ducato per tredici anni e, nel 751, assiste alla caduta di Ravenna conquistata dal re longobardo Astolfo, succeduto a Liutprando che era morto nel 744.
A Ravenna l’esarco Eutichio è fatto prigioniero senza nessuna concreta speranza di rivincita: tutto il sistema esarcale crolla, i residui domini bizantini in Italia hanno ormai larga indipendenza e i loro duchi godono di poteri pressochè assoluti.
Nel 755 Deusdedit viene ucciso da Galla Gaulo, che usurpa il potere, ma l’anno successivo costui è deposto dai venetici i quali si danno un nuovo doge nella persona di Domenico Monegario di Malamocco. Il doge viene affiancato da due ufficiali con dignità tribunizia, ogni anno rinnovati: Giovanni diacono liquida questa ricomparsa dei Tribuni ai vertici dello stato come una stoltezza del volgo che non sa restare stabile e coerente nelle decisioni. In effetti la loro nomina era stato ufficio dell’esarca, che così provava ad annullare le gravi conseguenze dell’elettività dei dogi da parte del popolo veneziano.
Con il venir meno dell’autorità esarcale si ampliano di fatto i margini di autonomia e di potere dell’istituto dogale; il tribunato non poteva trovare regolamentazione e mediazione per puro atto legislativo, ma solo nella lenta costruzione di nuovi equilibri. Il regime ducale doveva erodere la resistenza di antiche posizioni e questa fu impresa che richiese decenni; nell’810, circa mezzo secolo dopo l’elezione di Domenico Monegario, a fianco del doge Agnello Particiaco erano ancora collocati due tribuni e solo successivamente, nel corso del IX° secolo, il processo potrà dirsi concluso. Il tribunato, da titolo connesso all’esercizio di un’effettiva funzione, resterà solamente onorifico, significativo di uno status sociale e non più di veri compiti istituzionali.
Intanto la prosperità delle isole cresce, di anno in anno la popolazione della nuova capitale, Malamocco, aumenta alimentandosi della sempre più intensa immigrazione da Jesolo e da Eracliana, città che inestinguibili rivalità fra i clan hanno condotto a disperata decadenza. Così si va creando attorno alla sede del ducato un nucleo ampio di popolazione di varia origine, in gran parte formato da famiglie desiderose di pace, stanche dei secolari contrasti e di rabbiose rappresaglie, in parte ancora dedite ad attività agricole, in parte affaccendate nel primo timido rifiorire di commerci, desiderose e bisognose di una sicura autorità che garantisca la certezza del diritto.(Si veda: G.Maranini – La costituzione di Venezia dalle origini alla serrata del Maggior Consiglio – Ed. La Nuova Italia 1927 – pagg. 41-43)
Il secolo VIII° vede l’ampliamento dell’attività mercantile nella provincia costiera dei veneti: il ferro, il legno, l’ambra, gli schiavi, provenienti dal nord, passano per i suoi piccoli porti e vanno verso Costantinopoli. La flotta per ora è prevalentemente in mani greche o siriache, ma gli sviluppi successivi fanno intuire che una classe di mercanti ricchi sta sorgendo fra i proprietari terrieri e i battellieri del luogo. Il governo della provincia, dunque, resta nelle mani dei possidenti locali, i quali mantengono risorse sufficienti per promuovere anche opere edilizie di rilievo. Essi inoltre intuiscono quanto sia importante il movimento di merci che i battellieri possono garantire anche verso l’interno: risale al 715 il trattato commerciale, o pactum Liutprandi, che i maggiorenti di Comacchio stipularono con i Longobardi per trasportare il sale ed altre merci fino ai porti fluviali di Parma, Mantova e Cremona, con i tassi relativi, che includevano un contributo di due once di pepe nel porto di Parma, indizio sicuro di traffici col Levante.
Il ducato veneto, enclave bizantina totalmente isolata dall’Italia settentrionale e collegata a Costantinopoli via mare, riesce quindi a trovare anche con i Longobardi un modus vivendi, pur limitato e faticoso, che garantisce la sopravvivenza.
Poco conosciamo sulle cause scatenanti una nuova ribellione nel 764, che a Domenico Monegario (o Merengorio) costerà l’ufficio e la vista; Et evulserunt oculos eius. E’ probabile che, avendo egli cercato di liberarsi dei tribuni, sia stato sopraffatto dal partito filo-bizantino, in quel momento prevalente. Certo è che il suo successore Maurizio Galbaio, eletto in un comizio elettorale particolarmente tumultuoso, tiene poi un atteggiamento di lealtà verso Costantinopoli.
La procedura elettiva altro non è che atto sedizioso; potremmo dire che il diritto popolare si esauriva nella rivolta. In questa fase si consolida, anche come modalità di successione, il sistema della coreggenza. La scelta del coreggente era prerogativa ducale e Maurizio Galbaio la esercita per primo, associandosi il figlio Giovanni.

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Maurizio Galbaio (764 – 787), proprietario di cospicui beni fondiari nel territorio eracleese, governa da Malamocco riuscendo a muoversi con abilità fra complicati equilibri interni ed internazionali. Ai suoi tempi risale anche la creazione del vescovato di Olivolo, la prima vera diocesi lagunare dipendente dal metropolita di Grado: fino all’anno 850 circa Olivolo e Grado rimangono le uniche sedi vescovili in laguna. A Maurizio succede il figlio Giovanni, già al suo fianco, che ricopre la carica dogale dal 787 all’anno 804.