I Romani

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Nel 229 a.C. la prima flotta romana entrava nell’Adriatico e conquistava l’isola di Corfù. Tre anni dopo la città di Padova sanciva forse una sorta di patto con Roma in chiave difensiva nei confronti dei galli Boi e nel 222 a.C. i Romani conquistavano l’agglomerato urbano che diverrà poi Mediolanum. L’intera pianura padana si avviava così sotto il controllo di Roma.

Dal II sec. a.C. la romanizzazione del Veneto produce profonde trasformazioni nel territorio: la bonifica agraria e l’attrezzatura stradale sortiscono effetti a largo raggio, modificando il rapporto fra corsi fluviali, paludi, lagune e litorali sull’intero arco di costa fino a Grado. Adria, Este, Padova, Verona, Vicenza, Asolo, Altino sono centri potenziati dalla politica romana; inoltre sorgono nuovi centri di fondazione romana: Oderzo, Treviso, Concordia, Aquileia. Nel 175 fu costruita la via da Bologna ad Aquileia, nel 148 a.C. era terminata la costruzione della via Postumia, strada di arroccamento sopra le risorgive, che univa Genova ad Aquileia, ed in seguito, dal 132 a.C., la via Popilia e la via Annia, entrambe lungo le coste dell’Adriatico per collegare Rimini, Adria, Padova dove si innestava sulla via proveniente da Bologna. E poi furono definite le centuriazioni delle terre ed un sistema difensivo-commerciale di città e avamporti che correva per tutta la laguna.

A partire da questa fase dobbiamo porci la domanda sulle origini di Venezia. Non disponendo però di documentazioni né di reperti sufficienti a fornire i supporti per una risposta storicamente inconfutabile, si seguirà, almeno nei suoi tratti principali, l’indagine “indiziaria” che Wladimiro Dorigo ha svolto con il suo lavoro sulle origini di Venezia. In primo luogo, dagli scritti di Plinio il Vecchio ma anche di altri, compare il nome di Venetia quale entità distinta da altri centri veneti: Aquileia, Patavium, ecc.; inoltre quando si cita Venetiam non si parla di lacus né di fossa, anzi si fa riferimento ad un ager e lo si situa fra il fiume Sile e i due Medoaci, cioè i due rami nei quali il Medoaco (il moderno Brenta) si divideva dopo aver attraversato Padova per passare da Saonara, Arzarello, Arzegrande; un ramo (Medoacus Minor) sfociava all’altezza della Torre di Bebbe quasi di fronte a Portosecco sull’isola di Pelestrina, l’altro ramo (Medoacus Major) entrava in mare appena un po’ più a nord all’altezza dell’antica Metamaucum, situata non tanto distante dall’odierna Malamocco, e che una violentissima mareggiata nel 1110 distrusse fino a farla scomparire. Quindi, così localizzata, la Venetia ricordata dagli storici latini non poteva coincidere con il territorio della X Regio (Venetia et Istria)e neppure di una sua parte: quando questi scrittori latini si riferiscono a Venetia individuano una zona molto più circoscritta, che sta appunto fra due fiumi, Sile e Medoacus, e che non si trova nel bel mezzo di una laguna. Il terreno non ha ancora subito quei fenomeni bradisismici di subsidenza che lo abbasseranno sensibilmente mezzo millennio dopo, si parla di “stagna” per qualche fenomeno di esondazione di quei corsi acquei ma non di lacus e neppure di palus ed i fiumi mostrano ancora i loro tracciati fra terre emerse laddove oggi abbiamo il Canale della Giudecca, il Canal Grande, il Cannaregio ed altri corsi acquei sottomarini visibili solo forse in certe foto aeree. Tito Livio, nato a Padova nel 59 a.C., ci parla di un sistema di collegamenti militari e commerciali fra i villaggi del litorale e quelli situati in corrispondenza nell’entroterra. Il percorso principale era quello del Brenta (Medoacus). In pratica egli ci descrive un’organizzazione territoriale che associava Padova, città dell’interno, con villaggi costieri nella laguna, dove poi sorse Venezia, forse in corrispondenza dell’attuale villaggio di Malamocco, antica Metamauco. L’assetto che Tito Livio ci ha descritto nel “caso” Padova-Malamocco è generalizzato nella politica romana e caratterizza tutta la costa con una sequenza di coppie porto-avanporto. Ad Aquileia corrisponde l’avamporto di Grado; a Concordia corrisponde Reatinus sulla foce del Tagliamento; ad Oderzo corrisponde Caorle (Caprule), attraverso il Livenza. Sul Sile si sviluppano i traffici che da Treviso passano per Altino e Torcello, Sant’Erasmo, fino al mare. Il geografo Strabone, in periodo augusteo, attorno all’anno 10 d.C., cita Vicenza, Oderzo ed Adria fra le città collocate in terreni paludosi e costruite su palafitte che, per mezzo di piccoli corsi fluviali, sono in comunicazione col mare; ciò rende l’idea di come la profondità di questi “cunei” fosse ancora avvertibile, dopo due secoli dalle bonifiche romane. Marziale in un suo epigramma, “aemula Baianis Altini Litura villis”, paragona le ville sulla costa di Altino a quelle di Baia, nel golfo di Napoli, all’epoca il più famoso luogo di vacanza; siamo nella seconda parte del 1° secolo d.C. In quegli stessi anni Plinio il Vecchio, nella sua Historia naturalis, ci parla di canali trasversali, “fossae per trasversum”, costruiti per navigare fra i vari bacini idraulicamente indipendenti e poi cita Brundulum ed una Fossa Clodia, che con ogni probabilità identifica l’attuale Chioggia, allora collegata con Este attraverso l’Adige. Per quanto riguarda quella parte di laguna più prossima a Venezia si sa con certezza che era abitata l’isola di Torcello e forse Mazzorbo (Maior Urbis) così come altre località scomparse dopo alcuni secoli come Costanziaca e Ammiana. A Torcello nel corso di scavi condotti nel 1962 da un’équipe polacca sono emersi materiali del periodo romano imperiale, I e II secolo d.C. in tale quantità da supportare l’esistenza di un insediamento romano stabile se non anche fortificato. Del resto con una certa frequenza si ripetono i ritrovamenti, nei canali attorno all’isola, di sesquipedali (mattoni romani di 45 x 29,6 cm.), anfore ed embrici (tegole piane con due bordi rialzati). Il museo di Torcello conserva molti reperti ritrovati in zona: fibbie, specchi, figurine di terracotta, iscrizioni latine. Esistono poi una serie di tracce romane nell’area stessa di Venezia venute faticosamente alla luce in un arco di anni piuttosto ampio, in occasione quasi sempre di lavori di intervento alle fondazioni di palazzi o chiese. Già nel 1816 erano stati scoperti davanti all’isola di San Giorgio resti di strutture, forse un’antica salina, attribuibile al periodo romano. Le ricerche archeologiche di questi ultimi decenni hanno riportato una quantità di reperti diffusa dall’area perilagunare di Altino, alla laguna nord e nella stessa Venezia: palazzo Coccina Tiepolo e Fondaco dei Turchi. Si tratta di numerosi oggetti quali punte di freccia, raschiatoi, pugnali del neolitico (VI-V millennio a.C.) fino ad una consistente presenza di reperti di epoca paleoveneta fra i quali anche ceramiche di origine attica testimonianti traffici marini verso la Grecia; (si veda ad esempio il lavoro di E.Canal – Testimonianze archeologiche nella Laguna di Venezia, l’età antica – Ediz. Del Vento 1988). Di recente sono stati scoperti i resti di una villa romana sotto il Teatro Malibran, sul rio di San Giovanni Crisostomo. Intorno al I° sec d.C. dunque la gestione romana del territorio veneto aveva perfezionato l’impianto di città-colonie potenziando quelle preesistenti e conferendo all’intelaiatura urbana una stabilità che resisterà oltre le invasioni barbariche ed il medioevo. I luoghi sono localizzabili con buona precisione, inoltre si deduce che l’insieme della fascia costiera era organizzata come un sistema deltizio-lagunare che, oltre a garantire l’accesso al mare aperto, poteva essere facilmente percorso parallelamente alla costa, da Ravenna fino ad Aquileia. Tale organizzazione del territorio, successiva all’arrivo dei Romani, conferma in qualche misura la preesistenza di una civiltà, anche se questo non deve far pensare ad una fondazione di Venezia in periodo romano: tuttavia le isole tra Aquileia e Grado erano già abitate in quei secoli, come testimoniano le scoperte di ricche cantine e dispense appartenute a facoltosi possidenti che forse le usavano solo in alcuni periodi dell’anno.

Vorremmo poterlo vedere quell’antico habitat lagunare: piccoli insediamenti sparsi di pescatori e salinari; approdi per le navi da carico e per traghettatori; isole affioranti disseminate nella rarefazione di un paesaggio necessariamente orizzontale; merci che prendono la via interna di Padova o Altino, case di legno o di giunco, pochi i muri di pietra, avamposti delle urbis d’entroterra; colori tenui, orizzonti di brume e il tempo che scorre silenzioso come la gora di quelle acque insulari. La “Laguna” è un mondo che si difende e si riproduce, difende le sue attività nella consapevolezza, forse, che solo queste potranno salvare la sua gente di fronte al dissolvimento degli antichi poteri statuali.