Marcantonio Bragadin/L'accordo

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L'atteggiamento superbo e la ricca scenografia servono a mascherare la delusione profonda.... Dall'alto delle mura di Famagosta, diventate adesso color dell'oro vecchio dopo che il sole appena inabissatosi nel mare le aveva infiammate a lungo di una tonalità rosso sangue, Marcantonio Bragadin, con uno sguardo attento e un po' sospettoso, stava seguendo il lento avanzare dell'ambasceria turca, che si era appena avviata in direzione della città dall'enorme attendamento di Capo Greco.

La luce del giorno avrebbe lambito almeno ancora per un paio d'ore sia la piana brulla che le onde verdastre che si infrangevano pigre sulla costa, le potenti fortificazioni veneziane così come le installazioni dello sterminato campo ottomano. Poi sarebbe definitivamente calata l'oscurità densa d'insidie anche sul lato orientale dell'isola di Cipro, nel quale si attestava l'estremo baluardo di difesa, dopo che l'esercito invasore si era già impadronito dell'intero territorio circostante e aveva massacrato più di ventimila abitanti nella capitale.

Amalda de Rocas... pensò in quel momento il governatore civile di Famagosta, posando inconsciamente la mano sulla corazza lucente, all'altezza del cuore in tumulto.

Le truppe del sultano Selim II, capitanate per quell'impresa da Piale Pascià, genero dello stesso Selim, e da Mustafà Lala Pascià, suo precettore, erano sbarcate sulle spiagge deserte di Limassol e Lamaca, catapultandosi poi a valanga sull'isola mediterranea nel luglio del 1570, esattamente un anno prima. Il 9 settembre, dopo quarantasei giorni d'assedio, avevano quindi conquistato Nicosia, mentre nel palazzo del governatore Nicolò Dandolo resistevano ormai soltanto cinquecento armati, fronteggiati da una potenza nemica di cinquantamila fanti e duemilacinquecento cavalieri. Subito dopo si era arresa senza combattere anche Kirenia, la seconda fortezza di Cipro per importanza strategica.

Non saremo costretti, vero, a fare la fine di Amalda de Rocas...?

Marcantonio Bragadin si sfilò l'elmo piumato, e si asciugò accuratamente la nobile testa ben conformata con un lembo del mantello scarlatto, facendo sfolgorare per un attimo, nella calda luminosità del tramonto morente, la propria sottile capigliatura rossastra.

Al suo fianco, con la mano stretta a pugno sull'elsa della spada e a gambe divaricate nello stretto camminamento a ridosso delle pietre degli spalti ancora bollenti, il generale Astorre Baglioni, comandante militare della piazza di Famagosta, annuì preoccupato.

Un atto eroico, quello che ha compiuto quella povera donna..., confermò quindi il pensiero inespresso del cavaliere, che però traspariva chiaramente dall'espressione fugace di assoluto rispetto che gli si era dipinta sul volto, non appena aveva nominato la sfortunata Amalda.

I turchi avevano inviato un monaco greco a trattare con la guarnigione di Dandolo nella città principale dell'isola. Concordata onorevolmente la resa, una volta entrati in città, avevano però assassinato migliaia di abitanti e fatto letteralmente a pezzi i difensori. Quindi, dopo che molte donne si erano suicidate per evitare l'estrema offesa della soldataglia imbestialita, si erano preoccupati di radunare un paio di migliaia di giovinetti, sia maschi che femmine, da avviare al florido mercato del piacere di Costantinopoli. Fu proprio a quel punto che Amalda de Rocas, una di loro, già imprigionata nella stiva della nave che l'avrebbe trasportata verso un'esistenza di infamie, era riuscita chissà come a dare fuoco alle polveri della santa barbara dell'imbarcazione, sacrificandosi in un'immane olocausto di fuoco che di gran lunga aveva preferito alla vergogna e al disonore.

Una scelta estrema... - in quel momento la ricordò anche Lorenzo Tiepolo, il terzo dei comandanti veneziani che si erano fermati ad osservare da lontano il procedere rallentato e solenne dei rappresentanti turchi che si avvicinavano al grande portale fortificato delle mura - Anche se al mondo non ci sarebbe mai bisogno di eroismi, sempre ammesso che gli uomini mantenessero fede a sé stessi e alla parola data....

Marcantonio Bragadin approvò questa nobile affermazione con un gesto solenne.

È proprio per questa ragione che temo le conseguenze… - poi si girò verso di lui, per ammirare ancora una volta il volto determinato del giovane capitano di Pafo - A Nicosia, Piale Pascià, il supremo comandante di laggiù, aveva trattato e si era accordato con gli assediati, ma poi le cose sono precipitate di colpo in quel modo....

Quindi state immaginando che anche Mustafà Lala Pascià, che è a capo del settore di Famagosta, alla fine possa fare la stessa cosa anche qui? E che, se questo dovesse avvenire davvero, anche a noi non resterebbe quindi che assoggettarci al destino di mettere in atto gesti estremi di ribellione e di orgoglio, appunto come quello della povera giovane che ha fatto esplodere la propria prigione, sé stessa, e i suoi disperati compagni...?.

Il governatore civile della città non rispose immediatamente. Si era nuovamente calato sulla fronte l'elegante copri capo di bronzo brunito, ricco di cesellature preziose nelle quali spiccava una miniatura del leone con il Libro Sacro tra le zampe, il simbolo della Serenissima Repubblica di Venezia. Poi, dopo aver assunto all'improvviso un'espressione molto più cupa di quella già estremamente preoccupata che aveva mostrato fino a quel momento, aveva gettato un'occhiata :circolare in direzione del mare, oltre la sottile e irregolare striscia di sabbia che lo separava dalle 'acque più tranquille del porto, e il pigro oscillare della robusta catena nerastra che i veneziani avevano tirato a pelo d'onda per impedire l'accesso alle numerose imbarcazioni nemiche.

Almeno una paio di centinaia di navi... l'uomo valutò allora per l'ennesima volta la consistenza numerica della flotta avversaria, passando attentamente in rassegna i caicchi, le settanta galee, e le vele di diversa stazza che adesso oscillavano alla fonda, e che, di concerto con l'artiglieria di terra, :avevano contribuito a sviluppare quella potenza di fuoco di venticinque cannoni che aveva bersagliato per mesi interi le difese dell'avamposto della Repubblica di San Marco Una trappola dalla quale non si può più uscire quindi considerò oggettivamente Soprattutto perché, dalla fine dell'inverno scorso, Venezia ci ha inviato soltanto il rinforzo degli ottocento soldati al comando di Onorio Scotto, e del piccolo manipolo capitanato dal colonnello Martinengo....

E quegli armati erano pochi davvero per tentare di ribaltare stabilmente le sorti della recente conquista ottomana di Cipro, che si era dimostrata inarrestabile dal suo inizio fino appunto a quel medesimo giorno, il primo di agosto del 1571. Specie perché nel frattempo, dall'ormai lontana presa violenta di Nicosia, il sultano Selim II, irritato per il ritardo sul definitivo assoggettamento dell'isola, aveva portato la sua armata alla consistenza di quasi duecentocinquantamila uomini, addirittura quintuplicandola sotto il nuovo comando di Alì, il figlio del muezzin della moschea prossima al serraglio di Costantinopoli.

Non c'è altra soluzione che venire a patti, quindi... Marcantonio Bragadin continuò allora a ripetersi controvoglia Anche perché la nostra capacità di reazione si è ridotta a non più di mille e ottocento combattenti, e la popolazione è ormai allo stremo delle forze....

La trattativa era dunque una soluzione obbligata. Pur ammesso che, fin dal primo istante nel quale si era manifestata alla mente dei reggitori della roccaforte, lui per primo non vi si era opposto esplicitamente ma aveva comunque manifestato più volte la propria intolleranza, come se un oscuro presentimento, un irridente fantasma maligno, l'avesse torturato fin dentro le fibre più riposte del cuore, insinuandogli l'angosciante sospetto di un secondo tradimento dettato dall'inguaribile fellonia umana.

No vogio gnanca vardàr sta domanda del turco! aveva perfino urlato una volta, esprimendosi nella musicale parlata natia, il giorno in cui Lala Mustafà gli aveva inviato un parlamentare con una prima proposta di tregua. E anche ora che la situazione si era aggravata di molto fino al limite della possibilità di sopportazione, il sentimento di diffidenza gli ispirava impressioni contrarie agli inesorabili dettami della dura realtà, lacerandolo tra l'orgoglio, che gli avrebbe imposto di non cedere mai all'invasore, la ragionevolezza, che gli imponeva invece di accordarsi da consapevole gentiluomo con un nemico che, in ultimo, avrebbe comunque trionfato, senza però più garantire a quel punto neppure la semplice sopravvivenza agli innocenti asserragliati nella roccaforte.

L'onore... - si decise allora a rispondere alla domanda di Lorenzo Tiepolo, a proposito del possibile tradimento del comandante turco in caso di cedimento, alla cui necessità peraltro lui stesso si stava parzialmente convincendo, non scorgendo più nessuna alternativa ad una decisione in tal senso - L'onore è una merce piuttosto rara nel consorzio umano, amico mio. E troppo spesso la cecità della volontà di potenza oscura completamente anche quel poco che ne rimane.... Intendete dunque affermare che in seguito Mustafà si rimangerebbe le proprie promesse, nel caso dovessimo patteggiare? intervenne a quel punto anche Astorre Baglioni, serrando con ancora maggiore energia l'impugnatura cesellata della sua arma pesante.

Marcantonio Bragadin avrebbe desiderato insufflare d'improvviso nell'animo di costoro, che contavano molto meno dei suoi quarantotto anni, l'intera esperienza di vita e di riflessione nell'inconsistenza e l'incostanza degli uomini che aveva maturato nel corso di un'intera esistenza. Non ho mai posto nessuna differenza tra gli esseri umani - poi dichiarò, con un lampo di consapevolezza, ma insieme di pena, nelle pupille velate - Mi sono sempre trovato di fronte gli ottomani come nemici, ma non ho mai pensato neppure una volta che potessero essermi inferiori. Io ho semplicemente difeso da loro la mia patria, la mia civiltà, la mia religione, e quindi non mi sognerei di schiacciarli o di disprezzarli se non mettessero in pericolo ciò che amo di più al mondo, ovvero la gente delle nostre terre, i bambini che hanno diritto di crescere secondo i principi del luogo in cui sono nati, quel senso di un Dio che è diverso dal loro, che pure è venerabile, ma al uale ho scelto liberamente di credere....

Il vostro è un atteggiamento di profonda saggezza...approvò a quel punto anche Baglioni.

Ma tuttavia - continuò l'altro - sono consapevole che l'invasore di un'altra etnia che ci troviamo li fronte in questo momento, appunto perché è un uomo normale al pari di noi, può essere infettato dalla medesima lebbra....

È privo d'onore... si lasciò sfuggire Lorenzo Tiepolo.

No, ragazzo mio. La Sublime Porta ha costruito nei secoli magnificenze d'arte e di cultura, m'intera storia di civilizzazione, e sarebbe davvero ingeneroso accusarla di peccati originali insanabili. Ogni esperienza umana è valutabile per sé, e ha pari dignità rispetto alle altre... Sto invece parlando del cuore dell'uomo, ragazzo. Della sua natura profonda. Appunto di quel senso della rispettabilità, come hai ricordato anche tu, ovvero della vergogna del disonore, che è comune i tutti quanti gli esseri viventi e pensanti....

Ma il turco, il nemico...?.

Mio giovane capitano... - Marcantonio Bragadin pose allora una mano sulla solida spalla dell'ufficiale - Mio valente Lorenzo, il mio consiglio è di non pensare mai all'avversario come ad m demone sanguinario, mosso da istinti primitivi. Se ciò dovesse avvenire, anche la nostra sensibilità cristiana potrebbe essere giustamente accusata di operare distinzioni di razza, quasi che al mondo ce ne fosse una superiore alle altre... È un grave errore, credimi. È necessario invece combattere chi ci invade perché è conveniente ad entrambi, alla fine, ma non certo per costringere l'altro, anche se fossimo noi a fado, ad inginocchiarsi e a rinunciare a sé stesso e alle proprie antichissime tradizioni....

Quindi è comunque giusto che contrattacchiamo, qui a Cipro....

Sicuramente, perché l'isola è imbevuta dello spirito dell'antica cultura ellenica... In questo momento storico è infatti Costantinopoli, proprio quel Selim che è succeduto a Solimano il Magnifico, che ci sta assalendo, perché probabilmente teme per la sicurezza delle vicine frontiere della Morea, della Siria e dell'Asia Minore. Venezia, insieme al resto d'Europa, non può quindi fare altro che difendersi strenuamente dalla minaccia. Tutto perciò torna, come vedi, negli equilibri della Storia... Ma in agguato, stavo appunto dicendo, resta sempre l'eterna anima nera dell'uomo....

I1 vostro discorso, comandante, è ancora più inquietante che se si fosse trattato semplicemente di opporsi ai principi che regolano il modo di vita di un popolo diverso dal nostro... a quel punto intervenne di nuovo Astorre Baglioni.

Ne sono convinto anch'io - confermò serio Bragadin -La volontà di prevaricazione dei singoli, condottieri o governi, può risultare addirittura d'intralcio alla possibilità di pacifica convivenza tra gente differente. Ogni tanto sono assalito dall'incubo che ciò si potrà aggravare sempre di più nel futuro, e che pochissimi individui studieranno allora a tavolino gli scontri sanguinosi tra masse gigantesche, per imporre la propria particolare visione del mondo ad ogni specifica comunità, piccola o grande che sia... Ma rispetto all'uomo in sé, il condottiero di carne e di sangue che affrontiamo di volta in volta, c'è un ulteriore fardello del quale il perdente si deve comunque far carico....

Anche quando siamo noi a vincere...?.

Molto spesso è avvenuto, amici miei. Noi siamo esseri umani come gli altri, e commetteremo grave peccato di presunzione se ci credessimo angeli o filosofi infallibili... In ogni modo, quando il capo di un esercito è pronto ad agguantare la vittoria, può anche accadere che uno sprazzo di follia all'improvviso gli germini dal profondo della propria natura di animale da preda. Ovvero può semplicemente avvenire che un malinteso senso della grandezza storica, che egli desidera piena e completa per sé, e quindi necessariamente imbrattata di sangue, lo possa portare alla fine, quasi obbligatoriamente, a tradire quegli accordi instaurati con la schiera nemica, che magari avrebbero condotto ad un compromesso accettabile per entrambi....

Supponete perciò di confermare la mia ipotesi, comandante? - annuì allora il capitano Lorenzo Tiepolo - Che cioè il pascià Lala Mustafà, adesso che si sta prospettando un nostro abbandono concordato della fortezza, subito dopo ci potrebbe colpire vigliaccamente alle spalle, come è già avvenuto a Nicosia con Nicolò Dandolo...?.

Non dimentichiamoci mai del sacrificio di Amalda de Rocas, signori... E dell'inoppugnabile fatto che il turco è dopotutto un semplice uomo, come ho già tentato di spiegare... - gli rispose Bragadin - C'è però, amici, che comunque è mio preciso dovere cedere le armi, in questo momento. Altrimenti non mi sarebbe più possibile vivere, sopportando il peso sulla coscienza della morte per ;fame di donne e bambini... Il mio onore perciò mi detta di arrendermi. Anche se non lo farei mai per me stesso. Non lo farei mai, se Venezia non avesse l'opportunità di controbattere con efficacia. Non lo farei mai, se il pericolo minacciasse di travolgere definitivamente la roccaforte d'Europa.... Onore... il giovane capitano ripeté allora di nuovo il concetto, concentrandosi poi in sé stesso, quasi a voler avvertire con maggior nitidezza la stessa forma rotonda di un saldo principio di vita, al quale in nessun caso sarebbe stato possibile derogare.

Il governatore civile della piazzaforte di Famagosta contrasse i muscoli facciali, e trattenne a stento una lacrima di stizza e di sofferenza.

Se poi questo nobile sentimento sarà tradito da colui che proprio in questo istante ci sta inviando i suoi parlamentari - quindi quasi avvertì un oscuro presentimento - allora che il fango della vergogna gli ricada sulla testa, e che il suo nome sia cancellato per sempre dalla storia millenaria degli uomini....

Nel febbraio del 1570 era giunto a Venezia un tronfio ambasciatore turco, che recava al doge Alvise Mocenigo un ultimatum per la Serenissima.

Vi domandiamo Cipro, che ci dovete per amore o per forza. E guardatevi dall'irritare la nostra terribile spada, perché vi muoveremo guerra crudelissima in ogni parte. Né confidate nella ricchezza del vostro tesoro, perché faremo in modo che esso vi sfugga di mano come torrente....

Così il diplomatico aveva affermato in linguaggio fiorito ma senza mezze misure. L'isola di Cipro, in potere degli occidentali da ben novantasette anni, fin dal lontano 1473, avrebbe quindi dovuto essere immediatamente ceduta senza condizioni alla Sublime Porta di Costantinopoli, altrimenti sarebbe deflagrato un immane conflitto. Il sultano, soprannominato 1'Ubriacone perché indulgeva pesantemente nel vizio contrario ai suoi stessi sacri principi religiosi, si attendeva perciò ,graziosamente in dono quell'avamposto cristiano, che era ricchissimo di metalli, indaco, zucchero grezzo, splendidi vini e preziosissimo sale, e per il quale oltretutto, per mantenere buoni rapporti, veniva versato ai turchi un tributo annuo di ben ottomila e cinquecento ducati.

Molte furono le leggende che fiorirono intorno alle ragioni di questa apparentemente improvvisa decisione di Selim II. Anche se nessuna alla fine si rivelò tanto convincente da oscurare le autentiche motivazioni del possibile scontro, ovvero la quasi naturale predisposizione di ogni potente alla conquista di nuovi territori, e una ormai atavica conflittualità tra il mondo cristiano e quello islamico, che annoverava innumerevoli episodi, a partire dalla vittoria ottomana nel 1389 contro i serbi nel Kossovo. Tra queste narrazioni a proposito della dura imposizione del sultano, secondo la regola intramontabile per la quale non è poi difficile imputare sempre ad un ebreo le peggiori perversità, ci fu quella che sosteneva che un certo Joshua Micas, consigliere giudeo del sovrano e proprietario della banca Mendes, avesse suggerito a Selim di trarre bottino proprio da Cipro, per costruire quella moschea devozionale che ogni nuovo regnante aveva l'obbligo di innalzare al raggiungimento del potere. Dopo tre anni da quando era salito al trono, Selim si era quindi deciso finalmente ad obbedire al precetto, con grave ritardo rispetto alla regola, semmai fosse stata proprio quella la spinta che l'aveva mosso.

La minaccia ottomana aveva poi evidentemente coalizzato una reazione occidentale, in un'altalenare di situazioni pressoché identiche che si verificavano ormai da secoli, e come sarebbe anche avvenuto oltre cent'anni dopo alle porte di Vienna, sotto la guida spirituale del frate taumaturgo Marco d'Aviano. Il 20 maggio 1571, anche stavolta a posteriori rispetto all'attacco a Nicosia, si era infatti costituita la Lega Santa antiturca, alla quale avevano aderito la Spagna, lo Stato Pontificio, la Serenissima, le repubbliche di Genova e Lucca, il granduca di Toscana, i signori di Urbino, i Savoia, gli Estensi di Ferrara, i Farnese di Parma, i Gonzaga di Mantova, e i crociati cavalieri di Malta. La coalizione era stata opera principalmente di Michele Ghislieri, monaco domenicano e inquisitore che era salito al soglio di Pietro con il nome di Pio V, il quale si era poi anche accollato un sesto delle rilevanti spese della titanica impresa guerresca, mentre Venezia intendeva onorarsi di due quote, e la cattolicissima dinastia iberica delle altre tre.

Il comando dei navigli cristiani era stato quindi affidato a Juan d'Austria, figlio illegittimo dell'imperatore Carlo Ve fratellastro ventiseienne del tetro Felipe II di Spagna. Con l'ausilio della luogotenenza di Marcantonio Colonna, comandante della flotta pontificia, e di Sebastiano Venier, a capo di quella veneziana, l'adunata dei vascelli della Lega, dopo 'interminabili preparativi, si era quindi concentrata a Messina il ventiquattro di agosto, quando ormai la conquista dell'isola di Cipro era stata portata sanguinosamente a compimento dai turchi.

Lo scopo della potentissima armata non era stato però quello di prestare immediato soccorso a quello sperduto avamposto cristiano, quanto semmai quello di preparare accuratamente, e portare quindi ad effetto, uno scontro risolutivo con il mondo mussulmano, che sarebbe infatti puntualmente avvenuto nell'ottobre successivo nella baia greca di Lepanto, il cui nome da allora rimase per sempre scolpito nella memoria e impresso a fuoco nel profondo della sensibilità occidentale.

Avvenne così che, mentre l'immensa massa d'impatto di trentamila soldati, di 1815 cannoni, di 195 ,tra galee e galeazze, della Lega Santa veleggiava nel basso Tirreno, in attesa di dirigersi, il 16 settembre, verso Corfù e le acque della grande battaglia finale, il comandante della flotta nemica, Mehmet Alì Pascià, inviava parte della propria consistenza navale in direzione proprio di Famagosta, con lo scopo di sostenere e risolvere quell'assedio che già vedeva da mesi l'assoluta la non decisiva preponderanza ottomana.

Intanto la stretta a tenaglia sulla fortezza era iniziata quando i cavalieri turchi avevano esibito festosi sotto le mura la testa mozzata e infilata su una lancia di Nicolò Dandolo, il governatore di Nicosia che era stato appena trucidato. La guarnigione veneziana non si lasciò però impressionare dalla barbarica provocazione, e anzi munì maggiormente le difese, le quali resistettero poi per mesi agli assalti furiosi ma inutili degli avversari.

Molti furono evidentemente gli sforzi per concludere vittoriosamente il tentativo di soffocare la città, che ormai si stava protraendo per troppo tempo. Alla strategia delle gallerie scavate dai mussulmani sotto i muraglioni, i resistenti risposero riempiendole di nuovo di terra durante la notte, oppure aprendone una ancora più profonda e parallela, per asportare di soppiatto le munizioni nel frattempo accumulate dagli assalitori, come accadde ad esempio al fantasioso e coraggioso geniere Nestore Martinengo. Ci furono poi anche delle indomite sortite dall'interno, come quelle dei fratelli Rondacchi, alla ricerca di un improbabile varco attraverso le linee nemiche, che li potesse poi portare ad imbarcarsi furtivamente e a chiedere immediato soccorso al lontanissimo Occidente. E non mancò neppure l'insperato aiuto di uno sparuto gruppo di galee comandate da Marcantonio Querini, che aveva tentato di forzare il blocco per assicurare gli agognati rifornimenti alla città languente. Ma a nulla sostanzialmente valsero queste azioni quasi disperate. Ciò che si era cristallizzato fin dall'inizio, ovvero una situazione di stallo dopo il collasso improvviso della capitale, durò poi fino alla conclusione della campagna militare, fino appunto a quelle decisive giornate dell'agosto 1571.

I turchi continuarono i loro attacchi, sempre più violenti anche se non risolutivi, alle ciclopiche muraglie progettate dal celebre architetto Sammicheli. Le brecce aperte salirono presto alla notevole e pericolosa cifra di sei, quindi sempre meno difendibili da parte degli assediati. Astorre Baglioni, il comandante militare veneziano, recuperò con un'audace sortita il gonfalone di San Marco sottratto al governatorato di Nicosia. I colpi di cannone e il deflagrare delle mine ridussero sempre più in briciole tanto le merlature delle fortificazioni che il morale dei veneziani.

Ma intanto, con le settimane che si inanellavano una all'altra sempre identiche a sé stesse, la farina era finita, la razione quotidiana della popolazione si conteggiava su una crosta di pane raffermo e una gamella di acqua torbida miscelata con qualche goccia di aceto, i barili di polvere da sparo si erano ridotti a sette soltanto, erano stati già divorati tutti gli animali compresi i cavalli da combattimento, e l'avvilimento, le cui ragioni erano sostenute dal convincente argomentare dei morsi della fame, aveva cominciato a serpeggiare e a rafforzarsi sempre di più.

Avvenne dunque in questo modo che, verso la fine di luglio, maturarono definitivamente le condizioni che ora stavano appunto portando ad un primo abboccamento tra le parti per determinare le condizioni di resa della cittadella. Soprattutto perché si riscontravano fondamentali difficoltà anche da parte turca. Lala Mustafà, nei quattro principali assalti sferrati contro i cristiani, aveva infatti perduto ben cinquantaduemila uomini, e già intravedeva che, una volta caduto in sua mano l'abitato vero e proprio, i militari asserragliati nella fortezza avrebbero comunque potuto innalzare di molto quell'immenso cumulo di cadaveri. E in ogni caso, per piegare l'orgoglio di Famagosta e della Serenissima, non erano neppure bastate le millesettecentoventotto ore di cannoneggiamento continuo e i centosettantamila colpi esplosi.

Fu dunque questo, più che la pietà per le orribili condizioni dell'assedio, che alla fine fece decidere il turco a rendersi disponibile alla trattativa. Ma fu anche un tale prezzo troppo oneroso, che egli avvertiva come un'offesa alla propria dignità di potenziale vincitore sul campo, ciò che più tardi gli fece lievitare nel fondo dell'anima un groviglio di odio cieco e di inguaribile disprezzo, che in .timo lo avrebbe portato a non voler più mantenere fede agli impegni solenni che aveva contratto...

Tutto il gran teatro cui stiamo assistendo serve per nascondere il profondo dispetto... quasi con le medesime parole, Marcantonio Bragadin ripeté dunque ciò che aveva già osservato non appena, con gli altri ufficiali, aveva raggiunto il camminamento sulle mura fortificate. Laggiù, nel pianoro che di giorno era bersagliato dal sole come in un deserto, ed era altrettanto privo di qualsiasi traccia di vegetazione, l'ambasceria ottomana stava intanto quasi raggiungendo la destinazione, e quindi mostrava adesso con maggiori particolari tutto l'apparato scenografico del quale si era adornata. I turchi non sono riusciti a prevalere militarmente su di noi - osservò allora anche Astorre Baglioni, intendendo perfettamente ciò che volesse dire il governatore civile - E allora fingono che non sia accaduto proprio nulla, indossando i loro abiti più sgargianti, come se stessero per recarsi d una festa....

Il potere è anche inganno delle masse - annuì di rimando il giovane Lorenzo Tiepolo - E riesce a sopravvivere soltanto se si sforza di gratificarle comunque....

Una cinquantina di individui armati soltanto di enormi e lucenti scimitarre ricurve, a torace nudo, e scelti probabilmente tra gli uomini più belli e muscolosi dell'esercito di Lala Mustafà, marciava a ranghi serrati e a passo cadenzato ai bordi di una tenue traccia di sentiero appena individuabile tra a polvere rossastra. Mostravano il capo coperto di turbanti dalla forma bombata e dai colori squillanti, dai quali spiccava un pinnacolo di bronzo luccicante sormontato da una mezzaluna forata. Davanti a loro, una terna di giovinetti, con indosso appena un minuscolo perizoma che a malapena celava un sesso spropositato, e con la pelle chiarissima, quasi diafana, di chi raramente mò scorgere la luce del sole, recava tra le mani delicate e finissime le aste degli stendardi, istoriati con l'elegante scrittura araba che probabilmente riportava la venerabile sacralità di una sura.

Al centro di questo schieramento, circondato da schiavi neri dal grande corpo maestoso unto di olio, che muovevano ritmicamente larghi flabelli di piume per liberarlo dall'afa che ancora appesantiva l'aria, viaggiava infine l'ambasciatore del pascià. Costui stava mollemente sdraiato su ma portantina sormontata da un baldacchino candido, la cui copertura di garza ondeggiava al ritmo del passo dei portatori già viscidi di sudore schiumoso. I larghi tamburi di guerra dalla voce fonda, corni ricurvi, e le grandi lastre di metallo translucido che rimandavano sonorità stridenti ogni volta che venivano vigorosamente percosse, annunciavano, una ventina di passi dinnanzi a tutti, la magnificenza solenne di quell'arrivo. E facevano quasi dimenticare le tristi motivazioni della sua stessa ragione d'essere, e perfino l'aspetto inquietante del capo della delegazione. Il quale, perfino da lontano, appariva come un vecchio mal vissuto dal volto truce e canagliesco, e con un corpaccio obeso e sfatto da gaudente che nella vita non si era mai risparmiato il benché minimo eccesso. Nello scorgerlo, Marcantonio Bragadin avvertì un brivido gelido corrergli lungo la spina dorsale, e per un attimo fu tentato di respingere la tentazione della trattativa, e di assumere invece la risoluzione terribile di immolarsi, insieme all'intera città, pur di non dover svendere con un accordo, magari ingiurioso, neppure un briciolo della propria dignità di combattente.

Noi che amiamo tanto vantarci delle nostre radici però poi si piegò su sé stesso, rassegnandosi definitivamente al proprio destino siamo poi invece coloro che, troppo spesso, le tradiamo per primi... Ed era probabilmente proprio questo il germe maligno e contagioso che, forse anche a distanza di secoli, avrebbe travolto, o almeno pericolosamente eroso, l'intero Occidente. Cioè l'idea che la tradizione, i granitici fondamenti arcaici di una civilizzazione, potessero anche essere considerati soltanto decaduti e primitivi retaggi, da poter quindi facilmente abbandonare in nome della libertà del singolo individuo, specie quando si richiamavano all'impegnativa etica del sangue e del sacrifico, e ad una morale granitica che era tanto potente da poter superare anche l'innato istinto di sopravvivenza. Forse verrà un tempo nel quale, a seguito di una rivolta o di una grande e devastante rivoluzione si disse allora il veneziano si stabilirà che in Europa ciò che conta è soltanto l'uomo solo, completamente avulso dal proprio contesto, libero addirittura di rinnegarlo, di fame strame, di abbrutirne il valore di fronte al resto del mondo, che invece resterà fermo e agguerrito nei propri inamovibili principi. Allora purtroppo accadrà che i popoli del continente si ridurranno a menti isolate, sui cui pensieri nascosti si accaniranno ferocemente nuovi stregoni, che faranno poi di tutto per far dimenticare, in nome della valenza dell'unico, l'innegabile realtà che l'essere umano è essenzialmente qualcosa che appartiene alla propria genia, o che perlomeno non ne può fare a meno a lungo, se non a rischio della sua stessa estinzione....

Se tutto ciò fosse davvero avvenuto, non rivelandosi più solo come una pessimistica previsione di un uomo afflitto sperduto su un'isola mediterranea, allora sotto la croce un tempo gloriosa di Cristo si sarebbero radunate masse di indifferenti. Che avrebbero poi guardato a quel cadavere nudo in attesa di resurrezione soltanto come ad una curiosità metafisica, a qualcosa da poter barattare alla pari con qualsiasi altra idea o filosofia, religione lontana ed estranea, o semplice ideologia umana, come ne nascevano tante e ogni giorno nel gran mercato dell'intelligenza, partorite con estrema facilità da qualche mente bislacca o da falsi profeti di liberazione.

Ma, prima di Cristo, i greci...però mormorò il valoroso veneziano, tanto onestamente cosciente li sé da voler punire per primo sé stesso. Se, soffocati dai nostri dubbi troppo intricati o dalle nostre decadenti mollezze, non ci fossimo dimenticati un po' troppo presto di Leonida alle Termopili, forse tutto questo non sarebbe mai accaduto..., infine giudicò, dilaniato tra la vergogna per il proprio cedimento e la gioia di aver dopotutto compiuto un atto di umana pietà, nell'intento li sollevare la popolazione dalla sofferenza per la penuria che stava patendo ormai oltre ogni possibilità di sopportazione.

Prima però che gli fosse dato modo di rispondere alle domande ancora inespresse degli ufficiali, che si erano girati verso di lui per aver ragione di quelle poche parole che risultavano ancora oscure ma che apparivano comunque dense di senso profondo, la voce potente di un giovane attirò ancora la sua attenzione sullo scenario festoso ai piedi delle mura, presso le quali ormai la delegazione dei turchi si era definitivamente attestata.

Il nostro magnifico signore Mustafà Lala Pascià invia agli indomiti combattenti cristiani il suo grazioso e rispettoso omaggio... stava infatti urlando nella loro direzione uno degli erculei armati di scimitarra, traducendo in suono intelligibile i sospiri rantolosi che l'ambasciatore sdraiato gli andava man mano suggerendo, accompagnando li con una gestualità insofferente e leziosa.

Il colossale gladiatore fasciato di muscoli lucidi proseguì poi ancora a lungo, con infinite ed elaborate premesse ed inchini appena accennati, con la glorificazione formale della resistenza avversaria, e con la celebrazione poetica ed esaltante dell'indubbio valore dei comandanti della propria armata. Quindi, dopo che un diluvio di parole ritmate ed ornate, espresse in una lingua italiana nella quale si avvertivano delicatezze venete apprese probabilmente in una lontana prigionia, nonché gli inconfondibili suoni aspirati della parlata orientale, venne finalmente alle ragioni specifiche che avevano spinto l'ambasceria ad arrampicarsi a fatica fin lì sotto il sole. Ovvero all'annunciazione del momento preciso nel quale le precedenti voci e i mezzi abboccamenti tra le parti avrebbero dovuto concretizzarsi in un incontro ai vertici, per definire la conclusione vicendevolmente rispettosa del conflitto in terra cipriota.

Tra tre giorni... allora ripeté trasognato il capitano Lorenzo Tiepolo, appena le ebbe udite. Nella tenda del nemico... - aggiunse preoccupato il comandante militare - Ma prima dovremo innalzare bandiera bianca....

Il drappello pavesato in abiti svolazzanti, dalle tonalità che assorbivano e rimandavano decuplicata la luce morente del giorno, stava intanto già avviandosi sulla via del ritorno, con andatura ancora più dignitosa, cioè molto più lenta e solenne di quella osservata durante l'andata.

Noi abbiamo un po' perduto la memoria della nostre radici, mentre loro sono sempre stati rocciosamente fedeli a sé stessi - a quel punto li indicò Marcantonio Bragadin, non commentando per nulla il nuovo impegno che lo attendeva - Se dunque non intendiamo subirne per sempre il ferreo dominio, saremo alla fine costretti a prenderli ad esempio....

Quindi, dal forte Andruzzi nel quale si trovava in quel momento, fece scivolare uno sguardo sconsolato sui più di quattro chilometri di fortificazioni, sul massiccio dell'antico castello dall'altra parte della città, sul bastione di Martinengo dal lato di terra, e sul profondo fossato che parzialmente ostacolava l'uso delle macchine da guerra avversarie. All'interno del perimetro della cittadella munita, enormi travature di sostegno e cumuli di sacchi di sabbia erano stati collocati a ,difesa dei monumenti principali, e soprattutto delle chiese, i simboli della cristianità minacciata. Il torrione di Rivellino si presentava ormai semi distrutto, da quando i veneziani, per respingere un attacco massiccio, erano stati costretti a dar fuoco alle polveri accumulate nei sotterranei, sacrificando così trecento soldati e il loro eroico comandante Roberto Malvezzi.

Anche tutto il resto del nostro mondo forse sarà travolto, perché non c'è niente che possa resistere :alla determinazione di un popolo in armi... quindi Bragadin lasciò libero sfogo al proprio pessimismo E tutto ciò si verificherà anche se quello stesso nemico è accecato, e perfino se l'idea che lo muove è sbagliata....