I Longobardi

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Alla metà del sesto secolo la condizione degli italiani è quanto di più triste e miserando possa immaginarsi: la ventennale Guerra gotica li ha ridotti in una condizione peggiore di quelle provocate da ogni precedente invasione barbarica; le città sono distrutte, i campi quasi abbandonati, regnano povertà e carestia.
Poi, insieme ad un forte inasprimento della pressione fiscale da parte del governo imperiale di Bisanzio, nel 559 giunge anche una terribile pestilenza.

La situazione generale restava ancora difficile quando nel 569 i Longobardi, scesi dalla Pannonia e dal Norico lungo la via del Predil, giungono a Cividale.
Erano costoro fra le popolazioni più instabili del mondo germanico e fra le meno familiarizzate con le società sedentarie dell’area mediterranea; divennero federati dell’impero e si lasciarono utilizzare dal generale Narsete in Italia contro gli Ostrogoti guidati da Totila. Ma in seguito Narsete si liberò di loro avendone sperimentato l’indocilità e la sfrenatezza. (Si veda: Tabacco-Merlo Medioevo[pag.87] – Ed. Il Mulino)
In Pannonia i Longobardi, oltre ad essere in lotta contro i Gepidi, vedevano crescere i problemi di convivenza con gli Avari, perciò decidono di migrare verso l’Italia comandati da Alboino, il loro principe.
Longobardi, il nome era stato loro attribuito forse per le lunghe barbe o invece per lunghe alabarde; erano alti e possenti, allevatori di maiali, feroci pastori con lunghe trecce e la nuca rasata, giunti in Pannonia forse dalla penisola scandinava, ma le loro origini restano oscure.
Senza un vero e proprio piano strategico di eliminazione del dominio dei Bizantini, essi entrano in Aquileia e poi, evitando i centri militarmente più ostici come Altino, Concordia, Oderzo, Monselice e Padova, scendono a patti con il vescovo di Treviso, occupano Vicenza e Verona puntando poi su Milano, quindi pongono sotto assedio Pavia, fino alla sua capitolazione nel 572.
Questa prima fase della conquista longobarda non innesca ancora processi irreversibili fra le popolazioni dei territori veneti. Il più significativo nucleo di profughi verso le isole lagunari è costituito dagli abitanti della città più popolosa e importante, Aquileia, che si rifugiano sulle isole di Grado, dove esisteva una pieve e, vicino, l’antico monastero di Santa Maria di Barbana. Fra costoro spicca la figura del vescovo Paolo, recante con sé a Grado il tesoro della chiesa metropolitana, per sottrarlo alle razzie. Morto Paolo il suo successore Probino avrebbe potuto anche tornare in Aquileia ma la perdurante insicurezza sconsigliava un rientro definitivo. Il nuovo patriarca Elia si stabilisce nel castrum di Grado e, in esplicito omaggio a modelli bizantini, fa ristrutturare la chiesa di S.Maria delle Grazie e rifare quella di S.Eufemia che è consacrata nel 579, anno in cui viene convocato un Sinodo dei Vescovi e sono trasferite a Grado le sacre reliquie fino ad allora custodite ad Aquileia.
Mentre la minaccia longobarda incalza, in un primo tempo sottovalutata da Bisanzio, l’imperatore d’Oriente Maurizio (582 - 602) decide di applicare anche in Italia una costituzione di tipo militare: innalza la figura dei due magistri militum, che reggevano le truppe d’Italia, attribuendo loro il titolo di esarca (patricius et exarchus) e ponendoli contemporaneamente al vertice delle gerarchie civili e militari. Tra il 610 e il 640 la nuova organizzazione si estende a tutte le terre dell’impero bizantino; sotto la supremazia dell’Esarca i capi militari in sott’ordine prevalgono grado a grado sui capi civili, assorbendone le funzioni.
Alla fine del VII° secolo tutte le parti d’Italia ancora suddite dell’Impero, quindi anche le Venezie, sono completamente militarizzate sotto un regime che Bisanzio, in effetti, non riesce totalmente a garantire col proprio esercito e con le proprie risorse: i militari, che provengono dall’esterno, sono in numero insufficiente, inoltre devono provvedere essi stessi al loro vettovagliamento: fanno anche gli agricoltori e finiscono quindi coll’integrarsi sempre più nella società in cui vivono. Per necessità vengono poi arruolati anche militari fra la popolazione locale e così i latifondisti e i proprietari terrieri in genere, i cui coloni formano il nerbo delle guarnigioni o che danno lavoro anche ai militi provenienti da Bisanzio, acquisiscono un’influenza sempre maggiore sull’esercito. Anche nelle elezioni dei Tribuni diventerà naturale il prevalere di questi grandi proprietari terrieri che finiranno col formare una vera aristocrazia militare e poi burocratica, amministrativa e civile. Spesso le famiglie più ricche e forti si trasmettono di padre in figlio l’ambita carica tribunizia rendendola quasi ereditaria.
L’Impero va così gradualmente perdendo il controllo della vita economica nelle sue lontane terre d’Italia: spesso si trova costretto, per recuperare un qualche prestigio per le sue magistrature, a concederle a chi di tale prestigio già godeva. Ciò significa disporre di una burocrazia militare troppo vicina agli interessi locali e troppo sicura della propria forza per essere fedele al governo di Costantinopoli.
Le scelte dell’amministrazione bizantina, dando spazio all’impegno e al peso dell’elemento locale, contenevano già il seme dei futuri sviluppi autonomisti di Venezia.
Del resto anche l’andamento della penetrazione longobarda dimostra lo stato di salute non buono dell’esercito bizantino e la sua scarsa “convinzione”.
La piovosità alla fine del VI° secolo fu eccezionale, la laguna veneziana ed il suo entroterra sono investiti da una serie di inondazioni collegate anche a processi bradisismici che producono profondi cambiamenti nel habitat lagunare, in qualche misura determinanti per la nascita stessa di Venezia. Informazioni attendibili su quegli anni e su quegli eventi meteorologici e geofisici non ne abbiamo molte; il periodo peggiore è collocabile tra il 586 e il 589, anno in cui le precipitazioni raggiungono un’intensità da diluvio universale. Le acque dell’Adige si innalzano fino a sommergere Verona, per dirompere poi in altra direzione scavandosi un letto lontano dall’antica Ateste (Este) e uscire nell’Adriatico vicino a Chioggia. Il Brenta emerge su Padova rovesciandosi lontano dalla città e facendo posto al Bacchiglione, che si immette nel suo alveo. Nell’area di Altino e Concordia Sagittaria sono sconvolti il corso del Sile - Piave e l’abitato dell’isola di Torcello. Le isole di Ammiana e Costanziaca spariscono per costipamento.
Considerando l’insieme di questi fenomeni, è fuor di dubbio che l’intero sistema di strutture agrarie, viarie, canalizie e fluviali sulle quali si fondava l’efficienza della fascia costiera delle Venezie ne sia uscito totalmente modificato.
Destructa sunt itinera dissipatae sunt viae”, scriverà Paolo diacono circa due secoli più tardi, precisando che la Venetia non consta solo delle poche isole che ora chiamiamo “Venetias”, ma il suo confine si estende dalla Pannonia fino al fiume Adda. Oltre alla distinzione politica fra la Venezia costiera e quella continentale, spicca anche la nozione di "Insula” che nessun autore prima aveva usato in modo così perentorio: evidentemente la crisi idrogeologica del VI° e VII° secolo aveva creato delle isole che restavano tali anche durante le basse maree. Ricordiamo invece che Cassiodoro mezzo secolo prima descriveva così questo stesso abitat: “Il movimento delle maree muta continuamente l’aspetto dei luoghi, che sembrano talora terrestri e talora insulari”. Il nome “Venetiae” coincideva sempre più con queste insulae a tal punto da dover far presente quale fosse la dimensione continentale del termine.
Recentemente, sulla base di documentazioni relative alle centuriazioni romane di terreni agricoli, si è fatta anche l’ipotesi di una repentina sommersione di quasi tutta l’area che oggi corrisponde a Venezia: per effetto di un’ingressione marina oltre gli antichi cordoni dunosi, il paesaggio, che settant’anni prima Cassiodoro aveva visto, ora non è più lo stesso, non c’è più quell’ambiente deltizio con le acque dolci dei fiumi a plasmare terre emerse di isole e fra queste guadagnarsi pigramente la via fino a trovare quelle salmastre del mare. Ora le terre che emergono sono molto meno, le isole più distanti fra loro e più piccole, separate da fondali non troppo profondi ma che non riaffiorano più, come un tempo, durante le basse maree. Quel territorio ha perso i suoi connotati prevalentemente fluvio-palustri per trasformarsi in un sistema di lagune salmastre. Di questa mutazione restano tuttora le tracce nella doppia struttura deltizia e lagunare del luogo (i tracciati dei fiumi sommersi: Canal Grande, Giudecca, Cannaregio e altri, forse le anse di un unico corso d’acqua).
Una città di fiume quindi, i cui flussi corrono però fra liquide sponde piuttosto che fra argini di terra.
Il mutamento è avvenuto in un tempo breve e la memoria di quegli uomini può ricordare ancora bene “cosa è andato perso”; forse in quella forza che i veneziani dimostreranno nell’edificare, nell’inventare, una città sull’acqua è leggibile anche la nostalgia di quella memoria e la rabbia di riprendersi dal mare le loro terre perse.
Quando i Longobardi, al comando di Agilulfo, nel 602 ricominciano a premere sull’esarcato di Ravenna, in un arco di circa quarant’anni scacciano i Bizantini da gran parte del territorio italiano, instaurandovi il loro regno (568–774). Essi occupano con azioni disordinate e successive le città dell’entroterra: Monselice e Padova (602), Altino ed Oderzo (639). Padova, fortezza assediata, che comunica con Ravenna quasi solo per via fluviale (Edrone, Agno), dopo lunga resistenza è incendiata e rasa al suolo; i suoi abitanti, con il vescovo, fuggono a Malamocco.
Questa dei Longobardi, gens germana feritate ferocior, è un’invasione che, molto più delle precedenti, modifica le condizioni di vita in Italia perché sarà la prima vera, duratura dominazione totalitaria di un popolo conquistatore con un impatto sicuramente pesantissimo per la popolazione italiana. Ancora da Paolo diacono: gli italiani superstiti alle stragi vennero divisi tra i vincitori accampatisi nelle terre italiane…resi tributari dei Longobardi con l’obbligo di pagar loro un terzo delle rendite…furono spogliate le chiese, furono scannati i sacerdoti, furono schiantate le città e molti abitanti furono uccisi.