Terrazzo alla Veneziana
Come riparare un Terrazzo alla Veneziana
Non c’è Palazzo, Chiesa, casa o bottega a Venezia che non abbia, o non abbia avuto, il Pavimento alla Veneziana comunemente chiamato Terrazzo.
Il pregio di tale costruzione è tutta nella sua capacità di adattarsi a tutte la superfici e ad ogni situazione. La distinzione principale è tra il Terrazzo a calce od, il meno pregiato, Terrazzo in cemento.
La differenza è sostanziale: il primo è flessibile e si adatta ai movimenti del fabbricato nel quale si trova, il secondo, di recente fattura, infatti il cemento è stato inventato verso la fine del 1800, è rigido e freddo al tatto.
Tecniche Costruttive
Due sono le tecniche per costruire i terrazzi alla veneziana, e sono in relazione al legante usato: la calce spenta (detta anche solamente calce) e il cemento. E’ evidente che la tecnica del pavimento costruito con la calce è quella più antica, in considerazione del fatto che il cemento, così come lo conosciamo oggi, è nato negli ultimi decenni del XIX secolo, calce che richiede maggior esperienza ed è più costosa.
I tipi di pavimenti in terrazzo che si possono costruire sono vari e dipendono dalla grossezza del granulato usato, dai colori dei marmi prescelti, ma anche dall’effetto compositivo che scaturisce dalla mescolanza di due o più varietà di scagliette di marmo e dai coloranti usati.
Va aggiunto che, anche se gli strati del materiale nella loro stesura hanno la stessa successione, la tecnica costruttiva cambia completamente in relazione al legante adoperato.
Pavimenti in calce spenta
Verifica e protezione del tavolato
Per descrivere la tecnica di costruzione dei pavimenti in calce, partiremo dallo strato sottostante il pavimento: le travi ed il tavolato. Questi devono essere controllati e collaudati prima di iniziare il procedimento di posa.
Una particolare cura deve essere usata nei punti di raccordo tra la muratura ed il tavolato; infatti spesso accade che, il ritiro del legno o un maldestro accostamento delle tavole, porzioni di materiale gettato si incunei negli interstizi facendone crollare parte dello stesso. In quel punto, nel pavimento, sollecitato dai passaggi delle persone, si verrà a formare una depressione o financo una buca, che solo un intervento al tavolato potrà rinsaldare, intervento che però si rivelerà difficoltoso e distruttivo di quanto si renderà necessario.
Una volta verificata la compattezza del tavolato e la sua omogeneità, è necessario, per proteggerlo, stendervi sopra uno strato protettivo, in quanto la calce corrode il legno. Come ci viene mostrato dalle incisioni del Rusconi, anticamente, per ovviare a questo inconveniente, si ricorreva all’uso delle felci. Attualmente vengono stesi dei fogli di cartone catramato che ben si adattano a questa esigenza.
L’impasto per il sottofondo dovrebbe preferibilmente essere fatto con il materiale che, rompendo il vecchio pavimento non più recuperabile, viene tolto. Per brevità d’ora in avanti chiameremo questo materiale risulta. Questo contiene già una certa quantità di legante, non è sabbioso e possiede il giusto rapporto tra materiale fine ed inerte più grosso. Rimpastando il materiale di risulta avremo un doppio vantaggio, sia economico che in tempi di lavorazione: non sarà necessario portar via i calcinacci, con notevole risparmio sui tempi di discesa a pian terreno e trasporto in discarica; non necessiterà l’acquisto di nuovo materiale per il sottofondo.
Anticamente veniva impastato in un apposito luogo, con la zappa, per poter sciogliere bene la calce e poterla ben amalgamare all’inerte. Oggi viene eseguito tutto con una betoniera da cantiere, nella quale viene sciolta la calce con acqua e poi viene aggiunta la giusta proporzione di inerte.
Questo sarà impastato, con un rapporto di cinque a uno, con la calce. E’ preferibile che tutto il materiale che deve essere usato per il getto del sottofondo sia impastato anche qualche giorno prima del getto vero e proprio, per avere un impasto omogeneo. Si procederà quindi alla stesura del sottofondo.
Lo spessore del sottofondo può variare da un minimo di dieci centimetri fino ad arrivare a spessori limite, come sono stati trovati in Palazzo Cavalli a San Marco, spessori che nel terzo piano sono di 60 70 centimetri. Nell’eseguire rappezzature, anche di grande metratura, non è stato sufficiente eseguire un unico sottofondo, bensì ne sono occorsi due, questo perché altrimenti il getto fatto non avrebbe potuto essere ben compatto come necessita, quindi in tempi relativamente brevi si sarebbe sbriciolato creando vuoti sottostanti, quindi cedimenti.
La posa del sottofondo è eseguita con stadie proporzionali alla grandezza dei luoghi da pavimentare. I vecchi terazeri affermavano che anni fa, quando loro erano giovinetti, non c’era varietà di stadie e spesso anche grandi superfici venivano gettate con stadie relativamente piccole. Per questo motivo accadeva che i pavimenti non fossero perfettamente livellati, “a bolla”. A questo si aggiunga la flessione delle travi, qualche cedimento strutturale e di conseguenza anche per mantenere i mobili perpendicolari necessitano l’aggiunta di cunei.
Non bisogna distruggere, come accade spesso oggi, i pavimenti solo. Sono un reperto che bisogna curare e mantenere, perché oggidì nessuno è più in grado di eseguirne di uguali.
Rendere compatto il sottofondo è quindi la lavorazione successiva, che viene eseguita con rulli (o colonne) e battipali per la parte centrale ed un ferro appositamente sagomato, la lama, per le zone perimetrali.
Ancora oggi i terazeri chiamano “colonne” i rulli per la compattazione perché questi non erano altro che tagli di colonne che tolte dalle loro sede originale e riciclate ad un uso alternativo. Sempre più spesso oggi i rulli sono dei cilindri di ferro riempiti di calcestruzzo. Se le dimensioni del diametro del rullo superano i 40 50 cm, se fossero riempiti di betonata, sarebbero troppo pesanti per essere trasportati da un cantiere all’altro da una parte all’altra della città, o per portarlo nei vari piani dei fabbricati. La soluzione è avere un rullo cavo, nel quale, alla bisogna, si immette acqua, quindi diventa pesante quanto è necessario. E’ preferibile tirare la colonna piuttosto che spingerla. Il movimento è più lineare, quindi si evita lasciare impronte profonde sul sottofondo fresco. La passata deve coprire tutta la lunghezza della stanza per dare uniformità al livellamento. L’operazione viene ripetuta nell’altro senso, la larghezza, spostandosi lentamente verso il fondo stanza.
E’ curioso sentire l’abile teraziere battere con il battipalo. La sonorità, il ritmo, indispensabile per sentire meno la fatica, somiglia ad un tempo di ballo. Tre colpi di assestamento ed un quarto per abbassare la parte non ancora toccata. Un tempo di quattro quarti con accento sulla quarta battuta.
Nelle zone in cui ne il battipalo ne la colonna riescono a compattare il sottofondo, quindi le parti attaccate ai muri, l’operazione viene eseguita con il martello e la lama, con dei colpi ben assestati.
Quando il pavimento comincia ad asciugare ed il battipalo non lascia traccia sulla superficie dopo la battuta, (anche il timbro di quest’ultima ovviamente è cambiato) è il momento di lasciar riposare il sottofondo perché si asciughi completamente. Occorrono in media sei mesi perché questo avvenga prima di poter cominciare con la successiva operazione: la picchettatura del sottofondo.
La picchettatura è quel procedimento con il quale, con uno strumento appuntito come un piccone o lo spigolo di un badile, si creano dei piccoli fori sulla superficie liscia, distanti circa trenta cm l’uno dall’altro. Questi fori servono allo strato successivo come ancoraggio, perché non avvenga l’effetto “cartella”, in altre parole il distacco, quindi il movimento dello strato superficiale.
Accadeva spesso che, per non rifare il sottofondo, si picchettasse direttamente il pavimento che si andava a coprire in quanto consunto sovrapponendo così il nuovo pavimento a quello vecchio per cui si arrivava, nel tempo, fino atre o quattro sovrapposizioni di pavimenti diverse.
Ripulita la superficie dal materiale di risulta della picchettatura, è necessario bagnarla abbondantemente perché il sottofondo assorba molta acqua e non asciughi troppo velocemente lo strato che verrà posto sopra: la coperta.
Il pastellone
Il primo pavimento che può definirsi alla veneziana è il pastellone che sia Jacopo Sansovino che Andrea Palladio definivano terrazzo.
“Ella si fa con calcina et tegoli o mattoni ben pesti, et s’incorpora insieme.Vi si aggiunge una parte di scaglie di sasso istriano polverizzato, et questa mistura alquanto soda, si distende sul suolo di tavole ben fitto di chiodi, acciocchè non si torca et resista al peso.
Indi con ferri fatti a posta, si batte et calca per qualche giorno.
Et spianato ogni cosa et indurito ugualmente, vi si mette di sopra un’altra mano o coperta di detta materia, nella qual si incorpora ò cinapro, ò color rosso.
Et pio riposato per qualche giorno se gli da l’olio di lino, col quale il terrazzo prende il lustro per si fatta maniera, che lo uomo può specchiarvisi dentro.”
Sul sottofondo come sopra eseguito e ben picchettato, viene stesa “un’altra mano o coperta” come dice Sansovino, di cotto pesto e calce alla quale potevano venir aggiunte scaglie di marmo istriano (procedimento al quale penso siano pervenuti solo accidentalmente).
Rassodata la coperta fin quasi al completo indurimento, viene steso sopra e pressata con appositi attrezzi, calce e polvere di marmo opportunamente colorata con “cinapro, o colore rosso”, meno spesso il giallo e solo raramente il verde. Esperti terazeri erano in grado di eseguire pavimenti di un colore con fasce laterali di colore diverso.
Dopo la stesura la coperta veniva levigata e pressata proprio come fosse un seminato. Lavata la superficie viene stesa la prima passata di pasta che viene costipata negli spazi anche relativamente grandi con una grande spatola con il manico.
La costipazione delle successive mani viene fatta con attrezzi sempre più piccoli per esercitare una pressione sempre maggiore sullo strato soprastante. Il pastellone così composto e così costipato elimina la parte d’acqua che ancora è presente. Essendo la calce un materiale traspirante l’acqua viene eliminata per evaporazione, se però l’ambiente è sufficientemente freddo, questa si raccoglie in gocce tali da sembrare un corpo che traspira.
Dopo l’asciugatura viene dato l’olio di lino crudo fino ad assorbimento totale da parte del pavimento. La lucidatura avviene strofinando con stracci di juta fino ad ottenere una superficie lucida “tale che un uomo possa specchiarsi”.
La coperta
La “coperta” consiste in cotto macinato e calce in rapporto di tre a uno.
In passato, anche in questo caso si trattava spesso di materiale riciclato, il cotto era appunto formato da coppi e mattoni macinati che provenivano spesso da altri cantieri. “Coperta” proprio perché copre il sottofondo ed ha uno spessore che oscilla intorno ai 3-4 cm. Per quanto riguarda la stesura nulla è cambiato rispetto al passato. Anche oggi questa viene impastata con qualche giorno di anticipo rispetto la posa per poterla avere ben amalgamata ed omogenea, in gergo “far marsir la coverta”. Viene stesa con la cazzuola e livellata con la stadia.
Il giorno successivo alla posa, la coperta viene battuta con il “ferro da bater” al fine dei compattarla un po’ per permettere all’operatore di calpestarla senza affondare quando inizia la stesura dello strato successivo la “stabilidura”, una mistura di calce e polvere di marmo in rapporto di uno ad uno, alla quale poteva venir aggiunta una piccola percentuale di cotto macinato finemente.La “stabilidura” viene preparata con polvere di marmo, il cui spessore varia da una polvere impalpabile a 2-3 mm, e calce, dopo che questa è stata passata al setaccio più fine per toglierle tutte le impurità.
La stesura di questo strato viene effettuata con una speciale cazzuola di legno lunga circa 40 cm. rigorosamente piatta, che, essendo in legno, in gergo viene chiamata “fratonela”. Solamente un operaio specializzato, con abili gesti consumati dall’esperienza è in grado di stendere questo sottile strato , che varia da 1 a 2 cm. di spessore, a seconda dello spessore del marmo che deve essere seminato in seguito. Considerando uno spaccato di pavimento, una sezione, ci si renderà subito conto del perché lo spessore della stabilidura debba variare in relazione allo spessore del marmo usato. Questo deve essere interamente inglobato nella stabilidura, quindi lo spessore della stabilidura sarà proporzionale alla grndezza del marmo, più grande sarà la scaglia di marmo più spesso sarà los trato di stabilidura.
Un paio di giorni dopo è pronto per la “semina” che viene effettuata con molte cautele, dopo aver preparato il marmo nelle colorazioni e nelle granulometrie volute. Tratteremo in un paragrafo a parte alcune considerazioni sui marmi utilizzati.
Colui che semina il pavimento deve far molta attenzione che le scaglie di marmo non si sovrappongano le une alle altre. Se questo dovesse verificarsi, allora succederebbe che, durante la levigatura a fresco, le scaglie di marmo, dette anche sassi, se non completamente avvolti dal legante, cominciano a muoversi con lo strofinio dell’orso, causando dei profondi solchi, che difficilmente si riescono a riparare. Per questo motivo anche il procedimento di semina risulta particolarmente lungo e ancor più lungo se, invece di una semina normale, viene effettuata una semina a decoro.
Nel caso di ornati particolari, come fiori, foglie, stemmi, uccelli, il disegno viene preparato precedentemente su un foglio di carta a grandezza naturale e verrà poi poggiato sul luogo dove si intende eseguire il disegno. Lungo le tracce del disegno sono stati effettuati dei fori, attraverso i quali viene fatta passare della terra colorata mediante lo sfregamento con un tampone. Verrà così evidenziato il disegno che farà da guida alla semina. Lungo i segni lasciati dalla terra colorata, vengono posati, ad uno ad uno, i sassi che segnano il contorno il disegno. Nella zona esterna al disegno verranno poste delle ulteriori scaglie di marmo, questa volta del colore della zona non disegnata. Le più semplici decorazioni eseguite in questo modo sono le fasce. Questa operazione viene chiamata spolvero.
Si possono distinguere diversi tipi di fasce, ma la forma classica di decoro sui pavimenti alla veneziana consiste in una fascia esterna staccata dal resto del pavimento definito campo da una ulteriore fascetta definita contro-fascia.
La semina e levigatura
La semina viene eseguita piegati a novanta gradi con le spalle protese in avanti e colui che semina ha legato i cintura un grembiule, che in gergo si chiama falda, nel quale sono raccolte le scaglie di marmo che via via verranno posate sulla stabilidura. Dopo la semina i marmi, che vengono appena poggiati sulla stabilidura, vengono conficcati nella stessa con l’uso della “colonna” ed abbondante acqua, fino a sommergerli completamente.Il modo di camminare dei terrazzieri in questi momenti, è molto particolare. Sembra che camminino sulle uova. Con il loro peso, infatti, potrebbero far sprofondare i marmi nella sottostante coperta e niente e nessuno sarebbe più in grado di farli riaffiorare. Per questo l’acqua, che deve essere abbondante, ma distribuita con omogeneità, non viene mai gettata a terra direttamente, ma distribuita sul rullo in movimento con l’ausilio di uno scopino, così che sia il rullo stesso a stenderla sul pavimento in maniera uniforme.Se l’acqua fosse troppo abbondante il terrazziere, nel passare su quel punto, creerebbe le “racche”, punti in cui i marmi sono affondati troppo e quindi non più visibili.Nelle zone perimetrali, non raggiungibili dai rulli, l’operazione di affondamento viene effettuata con una particolare cazzuola a forma quadrata. Lo stesso avviene nelle vicinanze di soglie o sulle zone seminate con la tecnica dello spolvero, particolarmente delicate in questa fase, perché le scaglie potrebbero “muoversi” e modificare così il decoro che si è andati a seminare.Dopo aver “casà soto” le scaglie di marmo, inizia la levigatura, che nei pavimenti in calce deve essere effettuata interamente a mano. Lo strumento che viene adoperato è l’orso, cioè un lungo bastone con una speciale tenaglia alla quale viene attaccato il materiale abrasivo, una pietra pomice naturale. Questo attrezzo viene chiamato “orso” probabilmente a causa del particolare rumore che compie durante la levigatura, che ricorda il grugnito di un orso, oppure per la considerevole fatica che si deve fare per spingerlo.Il pavimento non deve assolutamente indurirsi se non dopo esser stato ben compattato, e per questo bisogna quindi evitare che i mattoni dei muri assorbano l’acqua dal pavimento. Per questo è molto importante che le prime zone ad essere levigate siano quelle esattamente adiacenti ai muri perimetrali, o comunque quelle che asciugano più in fretta. Con l’orso non si riesce a levigare in aderenza al muro, allora si è costretti ad eseguire la levigatura con un pezzo di pietra pomice inginocchiati a terra.Nei vecchi terrazzi dei secoli scorsi, non sempre le zone sotto muro venivano levigate e ben compresse, anzi è accaduto che, portando delle modifiche all’appartamento e aprendo delle porte dove prima non esistevano, al fine di ottimizzare lo spazio, le zone di incontro fra le due stanze si sono rivelate particolarmente fragili proprio per la mancata compressione.
Con l’orso viene levigato un pezzo di terrazzo di circa 1-1,20 mq. alla volta con movimenti ortogonali rispetto le pareti. La maestria del terrazziere sta nel levigare il pavimento senza che l’orso si “impunti”, vale a dire senza che, colpendo un sasso sporgente , lo si trascini creando uno sfregio sul pavimento. Dopo l’orsatura è il turno del “battipalo”, tronco di trave di legno al quale sono stati attaccati due manici per poterlo impugnare. Dopo il battipalo è il turno del ferro da batter, dopo questo viene la colonna, il rullo che serve per far prendere acqua al pavimento, per comprimerlo superficialmente e per togliere quelle ondulazioni lasciate dall’orso e dal ferro. Tutti questi strumenti, in maniera diversa, servono a comprimere le componenti del pavimento per dar loro solidità e compattezza.
Levigare, battere con il battipalo, battere con il ferro da bater, passare con il rullo o colonna che dir si voglia, è il lavoro di una giornata. Il giorno successivo si ricomincia da capo. Ogni terrazziere può mediamente levigare dagli 8 ai 12 metri quadri al giorno. Se la superficie è più ampia è necessario un maggior numero di persone che spingano l’orso, che levighino i contorni, che battano con il battipalo. Quindi per una stanza di circa 20 mq. occorrono almeno 5 persone altamente specializzate per un periodo di tempo che varia da 7 a12 giorni lavorativi solo per la levigatura.Terminata la levigatura il pavimento viene accuratamente lavato per togliere tutto il materiale di risulta della levigatura. Viene quindi coperto con una “pastella” composta di calce e terre colorate per dare la colorazione superficiale. Questa viene cosparsa sul pavimento e ben compressa con l’uso dell’orso, ma “armato “ di una pietra particolarmente dura da non lasciare residui durante lo strofinio. La parte in eccesso viene tolta con una spatola.Lasciato riposare il tempo necessario perché si asciughi, viene cosparso per bene con quella che viene chiamata “la saponata”, un composto a caldo di acqua, sapone di marsiglia ed olio cotto. Operazione che serve per l’indurimento della calce e per rendere facilmente lucidabile la superficie.Solo in questi ultimi anni si è scoperto che l’elemento principale per la presa della calce è la glicerina. Questa era presente nell’olio cotto che veniva dato ai pavimenti fino alla fine del secolo scorso, ma, la progressiva eliminazione di scorie dalla preparazione della cottura dell’olio, ha fatto si che l’olio preparato attualmente sia così puro da non possedere la quantità di glicerina necessaria alla calce. Così, se si vuole far aderire bene la calce nella stesura della saponata è bene aggiungere della glicerina nella soluzione al 3%.
Dopo l’assorbimento dell’olio cotto, che per propria natura rimane nelle zona superficiale del pavimento, si comincia la stesura dell’olio crudo, che viene dato in maniera abbondante fino a che il pavimento ne riceve. L’olio crudo viene assorbito e penetra nel pavimento dandone compattezza e corpo.Il pavimento viene quindi lasciato riposare per un periodo che varia dai quattro ai sei mesi, dopo di che , se non necessita di un’ulteriore “mano” d’olio, può venir calpestato nell’uso comune.Questo ovviamente nei pavimenti di nuova fattura, perchè i vecchi pavimenti che necessitano di manutenzione, spesso, sono già ingrassati abbastanza. Ma questo è un procedimento diverso e lo si trova nella pagina dedicata alla manutenzione Come riparare un Terrazzo alla Veneziana.
Pavimenti in cemento
La tecnica costruttiva dei pavimenti in cemento non si discosta di molto da quella dei pavimenti in calce. La differenza sostanziale sta nel legante. Il cemento, per le sue caratteristiche tecniche, indurisce in tempi brevissimi, quindi anche la lavorazione deve subire questa accelerazione. Un pavimento che si inizia a gettare, deve essere terminato nella stessa giornata.La tradizione veneziana vuole che mantenga le stesse caratteristiche, il cotto macinato per la coperta, le stesse proporzioni per la stabilidura con il legante. La polvere di marmo non è in questo caso fine come per il pavimento eseguito in calce, ma può raggiungere spessori fino a 7-10 mm.
Preparato e steso il primo strato di coperta debitamente impastata con acqua, con una stadia asciutta viene steso lo strato di stabilidura ad asciutto. Solo quando questa ha assorbito un po’ d’acqua dalla coperta e si è bagnata, si comincia la semina vera e propria. L’attenzione che era necessaria per la semina del pavimento in calce, viene ad essere molto inferiore in quella di cemento. Se delle scaglie di marmo si sormontano, quando vengono fatte inglobare nella stabilidura, vengono lo stesso avvolte dal legante che le trattiene.
Alla polvere di marmo viene aggiunto, quasi sempre, del colorante per il cemento per dare una colorazione al fondo che altrimenti sarebbe solamente grigio. Vengono impiegati per questo motivo ossidi di diversa natura e di colore diverso in base al colore desiderato. Esistono ossidi verdi, blu, bianchi, ma i più usati sono il rosso, il giallo ed il nero.
Particolare riguardo bisogna avere invece per il cemento bianco. Di natura diversa a quello grigio normale, ha tempi di presa notevolmente diversi, quindi anche tempi di lavorazione diversi. Asciugando più velocemente, non lascia il tempo necessario per la lavorazione e “rompere la presa “ al cemento bianco, cioè lavorarlo anche dopo che la presa è iniziata, vuol dire perdere la consistenza del legante ed il pavimento così eseguito si sbriciola. Per ovviare a questo inconveniente è necessario aggiungere al cemento bianco un rafforzante la presa, ma anche con questo accorgimento il pavimento potrebbe, in tempi relativamente brevi, creare micro-fessurazioni che verranno evidenziate dalla lucidatura del pavimento stesso.
Bagnate abbondantemente, le scaglie di marmo vengono conficcate nella stabilidura e nella coperta con il rullo ed il ferro da bater. Con uno scopino poi viene controllato che ogni parte sia perfettamente incorporata. Quindi lo si lascia asciugare. Già il giorno successivo è calpestabile, ma non ancora ben consolidato. Bisogna considerare le caratteristiche di presa dei cementi: tempo di presa, tempo di indurimento, tempo di stagionatura. Il tempo di presa è il periodo di lavorabilità del cemento;può essere al massimo di otto ore. Il tempo di indurimento consiste nel periodo in cui il cemento arriva alla resistenza critica, circa tre giorni. Il tempo di stagionatura che porta le resistenze alle condizioni standard, i fatidici 28 giorni. Bisogna però considerare anche un tempo, sufficientemente ampio, che porta a completare il ciclo di indurimento, ciclo variabile, a seconda delle condizioni climatiche, da sei mesi ad un anno.La levigatura del pavimento viene effettuata con l’aiuto di macchine levigatrici elettriche e con segmenti abrasivi la cui granulometria viene via via ridotta da grossa a sottile. Al termine della levigatura appaiono sulla superficie piccoli fori creati nell’impasto da piccole bolle d’aria che non sono riuscite ad emergere con la rullatura. Questi forellini devono essere stuccati prima di eseguire la lucidatura del pavimento. Lucidatura che viene eseguita con acido ossalico oppure semplicemente con cera.
Se la lucidatura avvenisse dopo il tempo di stagionatura del cemento si avrà un pavimento più lucido e le scaglie di marmo saranno allo stesso livello del legante.
Anche sui pavimenti in cemento si possono eseguire disegni o decori, ma il procedimento è ben diverso dal pavimento in calce. Sulla coperta vengono impiantate le sagome di legno che raffigurano il disegno da eseguire. Tutto attorno viene fatto il pavimento ed il giorno successivo, con molta cautela, vengono tolte le sagome e lo spazio riempito con il marmo di colore diverso. Così si possono fare semplici decori come fasce o ornati, o dei veri e propri mosaici come quelli eseguiti per Versace nel suo negozio di Venezia, nel quale sono stati eseguiti dei delfini in salto ed una testa con serpenti al posto dei capelli raffigurante Medusa.
Il pavimento in cemento presenta però alcuni vantaggi rispetto la calce. Si possono eseguire dei getti che, una volta induriti, possono essere posti anche in verticale, come delle lastre di marmo, per il rivestimento murale o per la copertura o la creazione di veri e propri piani di appoggio per bagni o per cucine. Già la vastità delle varietà di marmi lascia l’imbarazzo della scelta, ma se ai marmi aggiungiamo la granulometria diversa, la colorazione diversa o l’aggiunta di piccole zone seminate a mosaico, ecco che la varietà di questo tipo di superficie diventa sterminata.
Lavorazioni particolari come il granito impastato venivano eseguite nei primi anni di questo secolo per risparmiare nei materiali. Questo veniva adoperato per la costruzione di gradini, di stipiti di finestre, di colonne che reggevano ben poco peso, di balaustre, nonché di pavimenti che venivano ancora levigati a mano ed anche per il classico lavello da cucina del quale tutti noi abbiamo ricordi d’infanzia.
Pavimenti in granito impastato venivano eseguiti anche in calce, ma di solito, solo nelle zone di servizio o nelle stanze della servitù. </poem>
Palladiana
Un tipo di pavimentazione sempre in cemento, molto in voga negli anni 50-60, è stato il pavimento alla palladiana. Ogni riferimento al Palladio è puramente casuale. Usato inizialmente solo per esterni, si è trasformato, con l’utilizzo di marmi pregiati, in raffinato pavimento per interni.
Da lastre di marmo, di spessori variabili dai 12 ai 20 mm, vengono tagliate, con l’uso del martello a cuneo, delle scaglie che possono essere a forma arrotondata oppure squadrata. Sul sottofondo viene steso uno strato di sabbia e cemento con la stadia, sul quale vengono poggiate le scaglie di marmo in modo tale che le commissure tra scaglia e scaglia, siano le più piccole possibile. Si procede quindi a comprimerle sul sottofondo con un grande “frattazzo” per portarle tutte allo stesso livello superficiale. Gli spazi vuoti vengono quindi riempiti con cemento liquido opportunamente colorato a seconda del marmo adoperato. Quest’ultima operazione viene ripetuta più volte in quanto la “boiaca”, asciugandosi, si ritira.
Dopo la definitiva asciugatura viene levigato con la macchina levigatrice e lucidato come un normale pavimento in cemento.
La consistenza delle tessere di marmo e lo spessore che hanno provoca spesso il distacco di una o più tessere. I motivi del movimento potrebbero essere di diversa natura. La prima sicuramente è la poca consistenza del fondo di appoggio dei marmi, o comunque le sollecitazioni di flessione che le travi del solaio possono sopportare, mentre la “crosta” rigida tende a fessurarsi e spaccarsi. In altri casi è la poca consistenza del legante di copertura che provoca il distacco e quindi i problemi dei movimenti dei marmi. Un tecnico può essere in grado di diagnosticare le cause ed eventualmente indicarvi le soluzioni.
Pavimenti in resine epossidiche
Negli ultimi anni alcune innovazioni tecnologiche hanno portato alla nascita di un tipo di pavimento che può essere equiparato al pavimento alla veneziana, con un nuovo legante. le resine epossidiche, che possono sostituire i leganti tradizionali.
Se, da una parte, i pregi sono la robustezza, l’elasticità e la vastissima possibilità di colorazioni diverse, anche molto particolari (la gamma di colori per le resine è pressochè infinita), per contro non si conosce come possa questo nuovo materiale rispondere nel tempo.
Il procedimento per la stesura di questo tipo di pavimentazione è questo: sul sottofondo terminato viene steso uno strato di pochi millimetri di resina sul quale avviene la semina, operazione resa difficoltosa dalla mancanza di una superficie di riferimento che possa mantenere tutti i sassi allo stesso livello. La mancanza di scaglie di marmo in alcune zone del pavimento crea le cosi dette “racche”, il pavimento necessariamente deve essere disfatto in quella zona e rifatto con tutti i problemi che ne conseguono.
Queste osservazioni sono state fatte su alcuni pavimenti in resina costruiti tra il ’94 e ’95. Le tecniche di allora siano state superate e quindi superati anche i problemi originati. Attualmente resine e scaglie di marmo vengono mescolate assieme in betoniera così che, nella stesura, il livellamento è pressochè perfetto. Ad indurimento avvenuto si comincia la levigatura.
In Palazzo Venier dei Leoni, presso la fondazione Guggenheim il 13 marzo 1998 è stato presentato un “nuovo” tipo di pavimentazione che vorrebbe sostituirsi al pastellone.
La ditta Bisazza che produce questo nuovo materiale, lo presenta come soluzione di copertura di pavimenti non più recuperabili senza disfarli. Però se i pavimenti non sono recuperabili perché lesionati o perché il sottofondo non sopporta più le sollecitazioni, porre uno strato coprente senza risolvere i problemi alla fonte, significa spostare gli stessi problemi un po’ più avanti nel tempo, ma la causa degli stessi non verrà certo risolta, quindi torneranno, aggravati nel tempo, più urgenti e con un intervento che avrà pure maggiori costi economici.
Glossario
- Battipalo = strumento con il quale si compatta il sottofondo ed il pavimento stesso dopo la stesura della semina.
- Campo = zona centrale del terrazzo alla quale esternamente si accompagnano le fasce e controfasce di colori diversi.
- Colonna = rullo per comprimere la semina appene effettuata; anticamente era un taglio di colonna, per questo si chiama in questo modo.
- Falda = specie di grembiule nel quale si portano sul luogo della semina le scaglie da stendere sul pavimento.
- Fascia e controfascia = zona del pavimento esegiuta lungo i contorni esterni dove i colori dei marmi sono diversi e spesso in contrasto, per esaltare le diversità, con i colori del campo.
- Ferro da Bater = strumento in ferro per la prima compattatura del materiale appena steso.
- Rappezzo = aggiustatura del vecchio pavimento con nuove scaglie. L’abilità del provetto terrazziere sta nella capacità di eseguire un rappezzo il più possibile uguale al terrazzo da aggiustare.
- Scaglie = pezzetti di marmo di diversa grossezza, variabile tra il millimetro e due centimetri.
- Semina = stesura, sopra il legante, delle scaglie di marmo.
- Simossa = punto di congiunzione tra una parte di pavimento nuova con una più vecchia.
- Zenoceti = ginocchiere per il terrazziere che lavora a terra, utili per farlo rimanere distante dall’umido che comunque danneggia le giunture.
- Zenziva = zona di raccordo tra il rappezzo ancora da eseguire ed il pavimento
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