Rialto Mercato

L’area di Rialto Mercato si trova a ridosso dell’omonimo ponte, nel punto in cui il Canal Grande svolta verso destra, creando quasi una penisola nella quale si trova il mercato. Questo è il posto che si presta allo scarico delle merci, avendo tante fondamenta che lo circondano, anche considerando che al termine della Riva del Vin scorreva un altro rio sul quale si affacciava il pubblico granaio, dove si tenevano le scorte di grano per i periodi di scarsità di pane, luogo che in occasione dell’incendio del 1514 è stato aperto alla popolazione perchè ognuno liberamente asportasse più grano possibile, altrimenti sarebbe stato irrimediabilmente perso.

Questo è il luogo dove si trasferì il governo della città attorno all’810 da Metamauco, l’odierna Malamocco. Con Rivolatum (Rialto) si intendeva non solo l’area attuale, ma praticamente tutto il centro della città, quindi anche la zona attualmente occupata dalle chiese di San BartolomeoSan SalvadorSanta Maria Formosa e San Marco. Ma con l’andar del tempo in quest’ultima parte della città si concentrarono le attività politiche ed amministrative, lasciando che in quell’area, che anche noi adesso conosciamo come Rialto, si stanziassero le attività mercantili, facendola diventare importante centro per i commerci.

In questa area, distinti per mercanzie omologhe, insistevano i banchi di vendita; in una zona si concentravano i venditori di ortaggi, l’erbarìa, preceduta dai venditori di agrumi, la naranseria, più a nord, per la puzza, venne spostata la pescarìa, portandola in prossimità della beccaria, dove si macellavano le bestie di ogni tipo, bovini, ovini, volati, il tutto cosparso di magazzini e uffici.

A Rialto arrivava di tutto: dall’importazione e l’esportazione di merci pregiate come spezie, sete e metalli preziosi, alle derrate alimentari che arrivavano dalle isole o dalla terraferma, fino ai commerci al minuto di vino, verdura, frutta, pesce.

E come zona di commerci c’erano naturalmente locande, alberghi e persino banche: il famoso Banco Giro che funzionava come banca, per il trasferimento di danaro, per prestiti, ed anche un po’ come circolo dei commercianti più facoltosi. E naturalmente dove girava gente foresta, commerci e danaro, la zona era frequentata da chi praticava altro genere di commercio: le Meretrici, favorite anche da quegli albergatori (detti “cameranti”) che, infischiandosene del divieto, offrivano all’ospite il letto guarnito, cioè fornito di tutto: cena, riscaldamento, camera e compagnia.

Anche dopo il gravissimo incendio che devastò l’area nel 1514, successivi rimaneggiamenti fecero sì che oggi Rialto si presenta divisa tra la Pescarìa e l’Erbarìa, con negozi e banchi all’aperto.

Se osserviamo le denominazioni toponomastiche dell’area di Rialto, vediamo che conservano traccia delle attività passate e presenti del luogo.
Dell’Erbarìa abbiamo già detto, si trova sulla fondamenta, cioè sulla riva (fondamenta a Venezia è singolare ed al plurale fa fondamente) si vendevano le verdure che arrivavano con le barche dalle isole della laguna e dalla terraferma già nel XIII secolo: la sponda era in legno e sarebbe stata lastricata in pietra nel 1398.

 

Ponte di Rialto nel 1500

Anche della Pescarìa abbiamo già detto e ne abbiamo notizia dal 1332; qui si vendeva non solo pesce, ma anche uccelli.

La Naranzeria (si pronuncia “naranseria”) deve il suo nome a piccoli e bassi magazzini che ospitavano arance ed altri agrumi (arancia a Venezia è la “naranza”, pronuncia “naransa”).

Nella Casarìa si vendevano i formaggi e la “grassina”, cioè carne di maiale conservata sotto sale.

Il sottoportico e la Ruga degli Oresi devono il loro nome agli orefici che qui avevano le loro botteghe. Gli orefici hanno origini molto antiche a Venezia, trovandosi citati in un documento del 1015. E’ del 23 marzo 1331 la deliberazione del Maggior Consiglio che li obbligava a commerciare, lavorare e vendere l’oro esclusivamente nell’isola di Rialto.

Il Campo delle Becarie, dai “becheri” (macellai), vicino a quello che dal 1339 era un pubblico macello.

La Calle dello Stivaletto, da una bottega di calzolaio che aveva l’insegna di uno stivaletto.

La Calle del Capeler (cappellaio), da un negozio di cappelli di feltro che ancora esisteva nella seconda metà del 1800.

Calle del Marangon (falegname), probabilimente da una bottega di falegname che esisteva qui.

Calle del Manganer (manganatore), ossia “lustradori da seda” o “da lana” (dei panni di seta o di lana): qui nel 1661 si affittava una “casa e bottega con comodità del mangano, voda, di ragion della sig. Angela q. Benetto q. Piero Baron” (casa e bottega con l’uso del mangano, vuota, di proprietà della signora Angela di Benetto di Piero Baron).

Calle dei Varoteri (pellicciai) per le botteghe di pellicciai che si trovavano in questa calle.

Calle dell’Erbarol (erbaiolo, venditore di verdure) per la presenza di una bottega di vendita al minuto di verdure.

Un particolare del celebre quadro “Miracolo della Reliquia della Santa Croce” che Vittore Carpaccio dipinse attorno al 1494. Il quadro nel suo insieme (che in questo particolare non vediamo) fornisce preziose notizie sull’architettura delle case e dei palazzi lungo il Canal Grande ed altre curiosità. Nonostante questo sia solo un particolare, si nota ad esempio in fondo a destra un dettaglio del ponte di Rialto levatoio ed ancora in legno.
Calle del Fondego: i “fondaci” erano a Venezia dei magazzini, pubblici o privati, di merci, come il “Fondaco della Farina”, il “Fondaco del Tabacco”, o privati, e potevano anche essere stranieri, come il “Fondaco dei Tedeschi“, il “Fondaco dei Turchi“, il “Fondaco dei Siriani”, che qui tenevano il loro emporio ed i loro uffici, quasi una rappresentanza commerciale del loro paese di provenienza. A Rialto venne aperto qui il primo Fondaco pubblico per la farina, nel 1178, sotto il Doge Orio Mastropiero: In questo tempo questo dose fese far el fontego de la farina a Rialto (in questo tempo questo doge fece fare il fondaco della farina a Rialto).

Ponte delle Spade, Calle della Scimia, Calle del Gambaro, Calle de la Donzella, Calle del Sturion, Calle del Sol e Calle dell’Osteria della Campana devono il loro nome ad altrettante osterie, o locande o alberghi.

L’osteria all’insegna delle spade è citata nel 1488: Carlo de Zuane hosto all’insegna delle Spade (Carlo di Giovanni oste all’insegna delle Spade).

L’osteria all’insegna della Scimia (scimmia) esisteva in un fabbricato donato alle monache di S. Lorenzo da Giovanni Venier il 5 settembre 1227. Le monache avevano dato in affitto il fabbricato ad uso di locanda.

La locanda all’insegna della Scimia andò distrutta nell’incendio che bruciò Rialto il 10 gennaio 1514 e ne parla anche il Sanudo nei suoi Diarii tra le cose maggiori che andarono bruciate in quella notte: hostaria de la Scimia che è di le muneghe di S. Lorenzo, et era nova (osteria della Scimmia di proprietà delle monache di San Lorenzo, che era nuova).

Dell’osteria all’insegna del Gambaro (gambero) troviamo notizia per un fatto di cronaca nera documentato in una sentenza del 25 settembre 1465: un Venturino hospes in hospitio Gambari in Rivoalto (ospite della locanda al Gambero a Rialto) venne ucciso da certi Armano, cappellaio tedesco, Angelino e Leonardo, pure tedeschi.

L’hostaria della Donzella nel 1740 era gestita da un Piero de Pieri che pagava l’affitto per lo stabile al N.H. Filippo Donà.

Anche l’osteria all’insegna del Sturion (storione) è antichissima: l’11 luglio 1398 Guilelmus hospes ad Sturionem in Rivoalto è condannato assieme ad altri osti per aver adulterato il vino. Ma la locanda allo Sturion, che esiste ancora oggi, è anche famosa perché la sua insegna, che mostra un pesce, uno storione appunto, è raffigurata a sinistra del celebre quadro di Vittore Carpaccio Miracolo della Reliquia della Santa Croce databile attorno al 1494.

Dell’osteria al Sol (Sole) sappiamo che nel 1799 apparteneva alla famiglia Venier e veniva così descritta: Casa era aff.a a Giacomo Miotti, altra a Francesco Zanga, Botteghin a Bortolo Lioni, Casa era aff.a a Zuane Casarini, altra a Bortolo Lioni, ora ridotte tutte in un sol stabile per l’osteria all’insegna del Sol (una casa era affittata a Giacomo Miotti, un’altra a Francesco Zanga, una botteguccia a Bortolo Lioni, una casa era affittata a Giovanni Casarini ed un’altra a Bortolo Lioni. Ora sono tutte riunite in un unico stabile ad uso dell’osteria all’insegna del Sole).

Dell’osteria della Campana abbiamo tracce dal 1341 e sappiamo che fu di proprietà della famiglia Sanudo che ne ricavava una buona rendita, come scrive Marino Sanudo: noi Sanuti che in Pescharia nova habiamo un’hostaria chiamata di la Campana. Sotto tutte botteghe, ed è picciol luogo, e tamen di quel coverto si cava più di ducati 800 di fitto ogni anno, che è cossa maravigliosa del gran afitto, e questo è per esser in bon sito l’hostaria (noi Sanudo possediamo nella Pescheria nuova un’osteria, chiamata della Campana. E’ inferiore a tutti i negozi, è un locale piccolo, tuttavia per quel locale si ricava un affitto di oltre 800 ducati l’anno, che è molto bello, perché l’osteria si trova in buona posizione).

E nell’area di Rialto non mancava la possibilità di certi divertimenti libertini, come ci attesta la Fondamenta de la Stua (stufa), così chiamata per la presenza di una “stufa”, ovvero un locale pubblico molto simile al “calidarium” romano. In questi luoghi non si effettuavano solo la cura del corpo ed i bagni di vapore, essendo spesso l’occasione, nonostante espliciti divieti, per rapporti sessuali mercenari, maschili e femminili. Non a caso, proprio vicino alla fondamenta della Stua a Rialto troviamo il Ponte delle Tette (proprio nel senso di tette!), così chiamato per la vicinanza di postriboli.

Il sotoportego (sottoportico) del Bancogiro ricorda che in quel luogo aveva sede questa banca mercantile, chiamata appunto “Bancogiro”, istituita nel 1157.

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