Procuratie Nuove


La Piazza San Marco è circondata da sontuosi edifici che furono le abitazioni dei Procuratori di San Marco.

Dando le spalle alla Basilica di San Marco a destra si trovano le Procuratie Vecchie a sinistra le Procuratie Nuove.
Se al Doge Sebastiano Ziani è riferito il primo merito di aver ideato un embrione delle Procuratie VecchieJacopo Sansovino è da ritenersi l’ideatore della Procuratie Nuove, perché con la fabbrica, che doveva servire ad uso di Biblioteca Pubblica, egli la disegnò non soltanto nella costruzione in Piazzetta San Marco di fronte al Palazzo Ducale, ma proseguì verso la Piazza San Marco dietro il Campanile di San Marco. In questo luogo le prime tre arcate sono poste dal suo genio, a cominciare quell’edificio che doveva proseguire per tutta la linea della Piazza. La costruzione venne sospesa dal Senato della Repubblica o per mancanza di fondi o per impiegare il proto in altri lavori di rilievo, allora che si attendeva a decorare la Piazza di architetture e di marmi.
Certamente sarebbe stata una meraviglia quel bel disegno prolungato per 64 archi e tre facciate con statue che coronassero la sommità, con magnificenza romana. Ma Jacopo Sansovino, quasi centenario, mancava appena finiti i Giganti che avrebbero occupato il posto d’onore in cima alla Scala dei Giganti in Palazzo Ducale, senza che avesse potuto fare la decorazione dei tre lati, alla base del Campanile, con il compimento della Loggetta.
Si cominciarono quindi, otto anni dopo, nel 1578, queste Nuove Prouratie, su disegno di Vincenzo Scamozzi ed il Senato scelse Nicolò da Ponte, che poi fu Doge, come procuratore della fabbrica.
Ogni procuratia era un palazzo comodo e grandioso, come si scorge nelle scale e nei cortili interni, ma nell’insieme risultava un edificio unico, che cominciava dal quarto arco, partendo dall’angolo del Campanile, e si estende per settantasei arcate sino all’estremità della Piazza, in una linea retta, lunga più di cento metri.
L’opera è splendida per bontà di disegno e per imitazione felice, ma non fu plausibile il consiglio di non seguire le tracce del Sansovino, che mostrò l’intenzione di pareggiare in altezza queste procuratie alle vecchie, alterando l’idea sansovinesca con l’aggiunta di un terzo ordine che non era necessario.
Vincenzo Scamozzi però non giunse che alla decima arcata, là dove un occhio artistico ravvisa, dalla cantonata sino all’arco ultimo, un notabile decadimento nell’opera, goffa, non veloce, non graziosa, e anzi, man mano che l’edificio continua, perde sempre più in eleganza nelle sculture e negli intagli, avendovi posto mano Francesco di Bernardo, quindi Marco della Carità, e Baldassare Longhena, che lo portava a compimento nel 1690.
Cospicua è l’aggregazione di questi palazzi, negli ordini dorico, ionico e corinzio, sorretti da volti, finestrini e colonne, che superiormente sommano a 465.
Le impalcature ed il tetto sono di larice, legno che abbonda nei depositi di Venezia e dura più secoli senza tarlarsi.
Il Senato non mirò al risparmio e, trovandosi esausto l’erario, per le gravi spese della guerra, conferiva ad un numero di patrizi la dignità di procuratore, tassato ognuno di 22.000 ducati, salva rifusione di mille all’anno, e passava il valente alla cassa de supra dei curatori dell’opera.ùQuesta fabbrica serviva ad uso di appartamento di gala, nell’altro lato sulla Piazza.
Dopo, caduta la Repubblica, fu davvero infelice l’idea di continuarsi il porticato, di fronte alla Basilica di San Marco, e di erigere l’edificio ad uso di Palazzo Regio, che per primo abitò Napoleone.
Poiché con la nuova costruzione si demoliva la Chiesa di San Geminiano di progetto del Sansovino, in due ordini, con bella porta nel mezzo e con finestre simmetriche fra gli intercolunni laterali, una vera gemma dell’arte, che bellamente legava, come un anello, le vecchie e le nuove procuratie, fra le quali sorgeva al centro.
Quanto fu anche nobile l’idea di porre le ossa di Sansovino in questo tempio, fattura sua, in quella Piazza, ove abitava presso la Torre dell’Orologio, quale Proto di Palazzo e che decorava con tante opere proprie, come architetto e come scultore.
Non sapremo mai se gloria maggiore ne derivasse al maestro o alla repubblica, sublime anche nella riverenza al genio delle arti, che di tanti tesori arricchiva Venezia.

 

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Testo basato sull’originale di Cento tra i Palazzi più celebri di Venezia – Giovanni Jacopo Fontana – 1865